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Nomi in movimento: le peripezie della carriera alias

La carriera alias è uno strumento introdotto in alcune scuole, università, enti pubblici e aziende per tutelare le persone transgender o non binarie.

È una vera e propria identità alternativa che permette l’uso del nome scelto (alias) in documenti e comunicazioni ufficiali, anche quando il nome anagrafico non è stato ancora cambiato legalmente.

È il 2020 quando il preside del liceo Tito Livio di Padova blocca la candidatura di uno studente alle elezioni per le rappresentanze studentesche. Il candidato vuole iscriversi alle liste come Mario Rossi (nome di fantasia) ma nei registri scolastici c’è scritto altro. Mario è il nome d’elezione (alias) di uno studente transgender. Mario vorrebbe rappresentare gli studenti con il nome col quale si rappresenta, lo stesso con cui già lo chiamano amici, parenti e compagni. Secondo il preside, però, ciò che conta è quello che è scritto all’anagrafe, e la sua candidatura non può essere accettata. Inizia la battaglia dentro e fuori l’istituto, senza però potersi appigliare a riferimenti normativi (perché, di fatto, ancora non esistono) e affrontando tanti tabù

Oggi il Tito Livio di Padova è solo una delle 200 scuole italiane che prevedono la carriera alias nel regolamento d’istituto, un accordo tra lo studente e la scuola, che si impegna a modificare i registri scolastici, i libretti e gli elenchi interni. 

Si parla sempre più spesso di carriera alias, come sempre più spesso si parla di questioni di genere, identità sessuali, orientamenti, transizioni e genderfluid. 

La carriera alias si propone come una soluzione per i transgender che vogliono vedere riconosciuta la propria identità di genere, questione inquadrata in un profilo burocratico riservato agli studenti. L’alias viene quindi a sostituire il nome anagrafico, quello scritto nei documenti ufficiali e assegnato alla nascita in base al sesso biologico. La carriera alias, ossia la possibilità di utilizzare il nome scelto, rappresenta un passo fondamentale per costruire la propria identità sia a livello individuale che sociale. 

Il luogo d’elezione per la carriera alias è la scuola, consentendo di modificare il nome anagrafico con quello di elezione nel registro elettronico e cartaceo e negli elenchi dei documenti interni agli istituti. Infatti, alcuni ragazzi, durante il loro percorso scolastico, avvertono un’incongruenza di genere percependo una propria identità diversa rispetto a quella che corrisponde al sesso biologico assegnato alla nascita. Questa incongruenza, che compromette il benessere psicologico, può portare a ripercussioni negative anche sul rendimento scolastico. La carriera alias serve soprattutto a tutelare l’ambiente formativo per chi ne fa richiesta contrastando bullismo, discriminazioni ed emarginazione.  

Non è facile star bene a scuola, soprattutto per chi ha la sensazione di non essere “conforme” alle aspettative sociali e ai ruoli di genere, che non tengono conto dell’identità di genere. 

Ogni anno in Italia 4 milioni di studenti abbandonano la scuola ed è proprio la popolazione transgender a mostrare l’incidenza più alta di abbandono scolastico. Lo scopo della carriera alias è proprio quello di evitare alle persone che sono in un percorso di transizione il disagio di venire quotidianamente chiamate con il loro deadname (il nome nel quale una persona trans o non binaria non si riconosce più).

La carriera alias consente di riconoscere e promuovere il diritto allo studio per le persone trans in un ambiente, come quello scolastico, in cui ostilità, bullismo e discriminazioni sono continue: secondo l’indagineUnione dell’uguaglianza: strategia per l’uguaglianza LGBTIQ 2020-2025, la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla sua espressione è in aumento: il 43% delle persone LGBTQIA+ ha dichiarato di aver subito discriminazioni nel 2019, rispetto al 37 % del 2012. 

Chiedere la carriera alias non è una passeggiata, dato che mancano le linee guida specifiche per la sua attivazione: tutto è nelle mani dei singoli istituti scolastici che erogano interventi a macchia di leopardo – interventi che dipendono quasi esclusivamente dalla sensibilità della dirigenza scolastica

Accanto all’utilizzo della carriera alias, andrebbero poi concordate altre buone pratiche, come la presenza di bagni e spogliatoi a prova di bullismo e discriminazione… Ma siamo in alto mare. 

Utopicamente, oltre l’uso del nome richiesto (alias) nei quadri dei voti, nel libretto e nel registro, ci dovrebbero essere una serie di accorgimenti nell’uso dei servizi igienici per favorire privacy e sicurezza della persona. 

Per gli studenti universitari, la carriera alias dovrebbe applicarsi anche alla produzione di badge, nuovi indirizzi mail e l’uso del nome scelto per presentarsi agli esami di profitto e agli esami di Laurea. Però nella documentazione della carriera gli esami verranno registrati con il nome anagrafico: infatti, il nome scelto, non essendo riconosciuto legalmente, non può essere utilizzato nell’attestato di Laurea o per accedere ad altri servizi. Per tutti gli atti di rilevanza giuridica (autocertificazioni, certificazioni, diplomi, borse di studio, Erasmus e così via) viene utilizzata esclusivamente l’identità anagrafica e non quella di elezione.

Il protocollo, già presente in molti atenei, è applicato anche in diverse aziende, prima tra tutte la svedese Ikea. Da maggio 2022, è stato inserito nel nuovo contratto dei dipendenti pubblici di ministeri, agenzie fiscali e enti non economici, come l’Inps

Anche alcuni comuni si stanno muovendo nella stessa direzione. Milano, ad esempio, ha istituito il registro di genere, un elenco dove si può inserire il proprio alias per farlo comparire sui documenti di competenza comunale, come l’abbonamento ai trasporti pubblici o la tessera della biblioteca. 

Non è tutto oro quello che luccica. Infatti, non manca la propaganda contro la carriera alias, e c’era da aspettarselo. Perché se proviamo a fare un passo in avanti, c’è chi cerca di farcene fare cento indietro. Il portavoce dell’associazione antiabortista “Pro Vita e Famiglia onlus”, Jacopo Coghe, ha affermato che assegnare un nome diverso a uno studente in base a una «mera auto-percezione di genere, per di più priva di una diagnosi di disforia di genere, non solo è una procedura dannosa per la sua sana maturazione psico-fisica, ma è soprattutto in aperto contrasto con le normative vigenti in campo amministrativo, civile e potenzialmente anche penale» [cit.]. 

È una visione bislacca e distorta, dato che la carriera alias è solo una delle tante possibilità di integrazione e non prevede la modifica dell’identità anagrafica che, per il nostro sistema legislativo, è modificabile solo tramite domanda al prefetto della provincia di residenza (L. 164/1982). Un iter macchinoso e che richiede anni. 

Eppure, il nome è centrale per intervenire sulle discriminazioni che colpiscono le persone trans

L’attività dei gruppi pro-life ha ricevuto nuova energia dalle parole del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Già in campagna elettorale aveva sottoscritto un documento a tutela della famiglia tradizionale e contrastare la diffusione della cosiddetta teoria gender.

Per la Meloni infatti:

«Oggi per essere donna si pretende che basti proclamarsi tale, nel frattempo si lavora a cancellarne il corpo, l’essenza, la differenza. Le donne sono le prime vittime dell’ideologia gender. La pensano così anche molte femministe».

Peccato che le parole della premier, superficiali a dir poco, non trovano riscontro nella realtà dei fatti, dove la procedura per modificare il sesso è tutt’altro che facilitata. Ha ragione invece ad affermare che alcune declinazioni femministe oppongono resistenze alle misure che facilitano il riconoscimento delle persone trans, soprattutto i gruppi Terf (Trans Exclusionary Radical Feminist).

Grande sostegno alle richieste delle persone trans viene invece dalle fasce più ampie del movimento femminista, soprattutto da Non Una Di Meno, rete che negli ultimi anni ha convocato le manifestazioni più partecipate dello scenario italiano, che si definisce “transfemminista”.

VORRESTI ATTIVARE LA CARRIERA ALIAS?

Ecco la normativa di riferimento: 

  • Art. 3 della Costituzione Italiana;
  •  Convenzione Onu sui diritti infanzia e adolescenza 1989;
  • Regolamento UE 2016/679 o GDPR e Codice Privacy (D.lgs. 196/03);
  • Legge n. 59 del 15 marzo ’97 e successivi decreti, Autonomia Scolastica;
  • DPR n. 275/99, Autonomia delle Istituzioni Scolastiche;
  • DPR n. 249/98 e successive modificazioni, Statuto delle Studentesse e degli Studenti;
  • Risoluzione del Parlamento Europeo del 28 settembre 2011 sui diritti umani, l’orientamento sessuale e l’identità di genere nel quadro delle Nazioni Unite;
  • Legge 107/2015, Art. 1 comma 16;
  • Linee Guida per la tutela di tutti i diritti umani da parte delle persone LGBTIQ+.

Attenzione! In Italia, il Ministero dell’Istruzione non ha ancora provveduto ad emanare Linee Guida specifiche per l’attivazione della Carriera Alias per studenti trans alle quali le Scuole di ogni ordine e grado possano fare riferimento per redigere appositi protocolli. 

Ricorda che nessuna certificazione medica e/o psicologica deve essere richiesta dalla scuola e neppure presentata dagli studenti: la varianza di genere non è una malattia ma una espressione sana delle tante possibilità del genere umano. La carriera alias, pertanto, è un atto di rispetto, oltre che di tutela della privacy, verso le istanze delle persone trans.

Elisabetta Carbone

Leggi anche: Quel che c’è da sapere sull’ affermazione di genere: intervista al dottor Luca Bruno


Elisabetta Carbone

Sono Elisabetta Carbone, classe ’93, milanese di nascita ma cittadina del mondo. Mi sono diplomata al conservatorio per scoprire che volevo laurearmi in storia. Mi sono laureata in storia per scoprire che volevo laurearmi in psicologia. Dopodiché ho scoperto la sessuologia, ma questa è tutta un’altra storia. Non faccio un passo senza Teo al mio fianco, la mia anima gemella a 4 zampe. Docente, ambientalista, riciclatrice seriale, vegetariana.
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