Otto secoli di Sapere: l’incredibile viaggio dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”
Napoli, con le sue strade animate dal rintocco delle campane e il profumo della salsedine che risale dal Golfo, è sempre stata una città atipica, in cui passato e presente, convenzioni di costume, si fondono con la naturalezza di un racconto antico.
Ed è proprio qui, tra le pieghe di questa città tumultuosa, che si dischiude un prezioso scrigno di sapere e di storia, un’istituzione che, sospesa nel tempo, ha saputo resistere all’inganno dei secoli, dimostrando che l’autentica cultura tiene testa alle barbarie della guerra e della sopraffazione.
Ecco la storia dell’università laica più antica del mondo, ecco la storia della Federico II.
Napoli, anno del Signore 1224. La città, incastonata come una perla tra le onde del Mediterraneo e il solenne profilo del Vesuvio, era in fermento. Non solo commerci, non solo la vitalità del porto e le luci del mercato; nell’aria vibrava qualcosa di nuovo, una misteriosa energia che avrebbe ben presto lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’umanità.
Al centro di questo fervore, un’audace visione anima il giovane cuore dell’imperatore Federico II: «E se la vera potenza non risiedesse solamente nelle spade o nel denaro? E se l’autentica ricchezza dell’uomo fosse la conoscenza che, libera e indomita, abbatte i confini e accorcia qualsiasi distanza?» pensava tra sé e sé, mentre il suo sguardo si perdeva all’orizzonte, lì dove sono custodite, tesoro prezioso, le grandi ambizioni dei sognatori. L’idea gli apparve improvvisamente: un’università dove i giovani di ogni città, condizione e ceto sociale avrebbero potuto studiare, un luogo immune dall’autorità papale, in cui la scienza, la medicina, la filosofia e il diritto avrebbero potuto rifugiarsi e fiorire in totale libertà intellettuale.
Era una sfida aperta all’ordine costituito, un atto di ribellione che aveva il profumo della rivoluzione. Fu così che nacque, modernissimo e straordinario, lo Studium napoletano, embrione di quella che sarebbe poi divenuta la prima università pubblica al mondo, istituita non per volere della Chiesa di Roma, ma per iniziativa di un sovrano laico. All’ombra delle immense cattedrali e dei chiostri sacri, dunque, l’ateneo federiciano iniziava il suo lungo viaggio, spalancando le porte ai numerosi studenti che, abituati a pagare i propri docenti, conobbero l’opportunità di un insegnamento gratuito e libero per tutti.
E mentre le menti si accendevano come fiaccole e le idee, vere e proprie scintille, rimbalzavano da un angolo all’altro del giovane Studium, Napoli, da sempre città di mercanti e marinai, diventava finalmente prima capitale della cultura europea. Trascorsero i secoli e, sebbene l’ateneo ingrandisse i suoi edifici, riempisse le sue biblioteche di inestimabili volumi e accogliesse sempre più studenti, molte furono le tempeste che ne minacciarono l’esistenza. Il primo grande colpo arrivò nel 1456 quando, in un giorno come tanti, la terra si aprì e un violento terremoto indusse gli studenti ad abbandonare le aule, mentre la polvere e le macerie le invadevano completamente.
Seguirono i terribili anni della repressione intellettuale e della censura che, perpetrate da una Chiesa sempre più attenta ed inquisitoria, contribuirono a creare un clima ben più irrespirabile di qualsiasi maceria, anche a causa degli innumerevoli libri proibiti e dei docenti “non conformi”, allontanati, imprigionati o, in alcuni casi, condannati al rogo. Infine, la peste nera del 1656 rappresentò quasi un tragico epilogo, falcidiando ininterrottamente Napoli e raggiungendo, con i suoi acri odori, persino i corridoi dell’antico ateneo.
Eppure, nonostante tutto questo, l’anima dello Studium restò invariata; filosofi, teologi, giuristi e scienziati continuarono ad affollare le aule napoletane, mentre tra essi si distinguevano menti del calibro di Tommaso D’Aquino, Francesco Petrarca, Giovanni Boccaccio, Giambattista Vico, Antonio Genovesi, Giuseppe Moscati e Benedetto Croce. Neanche il terribile XX secolo, con le sue bombe e le sue violente discriminazioni, sembrò uccidere il sogno che fu del giovane imperatore; alcuni professori, infatti, continuarono ad insegnare mentre, con il cuore pieno di coraggio e sotto il vigile occhio degli occupanti nazisti, tentarono di celare e preservare i testi degli studiosi ebrei, banditi dalle leggi razziali.
Si trattava di un gioco pericoloso, un rischio che poteva costare la vita; ma a Napoli, dove il mare sembra incarnare la resilienza stessa, la cultura era una battaglia troppo importante e che certamente valeva la pena combattere. Furono questi gli anni in cui alcuni giovani studenti, travestiti da contadini o lavoratori comuni, erano soliti incontrarsi clandestinamente sui colli di Posillipo, per leggere insieme pagine di filosofia politica e per discutere di un’Italia diversa, libera da ogni sopruso e da ogni forma di oppressione. Erano gli stessi ragazzi che, qualche tempo dopo, avrebbero imbracciato le armi e sollevato un urlo di libertà contro la guerra e contro l’oppressore tedesco.
Oggi, figli e nipoti di quei ragazzi, festeggiamo gli ottocento anni dalla fondazione di quell’istituzione che, ormai divenuta una delle più grandi e prestigiose università d’Europa, trasforma Napoli in un gorgogliante laboratorio di idee e di innovazione. E forse, tra le moderne aule e gli antichi chiostri, se si presta attenzione, si può ancora percepire l’eco lontano della voce di Federico che recita, come in un antico incantesimo: Sapere è Potere.
Antonio Palumbo
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