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La maternità: un viaggio dai Cuentos di Emilia Pardo Bazán ai romanzi di Elena Ferrante.

Nel corso degli anni ogni donna viene posta dinanzi ad una convinzione fortemente radicata: l’aspettativa della maternità.

Ciò significa che una donna, per essere considerata tale, deve essere necessariamente madre.

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Ma si tratta davvero di una scelta individuale o diviene una mera costrizione sociale?

È proprio tra le pagine di Emilia Pardo Bazán ed Elena Ferrante che si va a scavare il nodo tremendo del materno, il campo di tensioni e sacrifici che porta alla luce come l’amore di una madre possa essere fatto di luci ed ombre. 

Il contesto socioculturale in cui si inserisce la penna rivoluzionaria della Pardo Bazán è quello di una Spagna ottocentesca profondamente cattolica, ancora radicata in una visione fortemente repressiva della donna all’ambiente domestico. Ci si trova dinanzi ad un problema ben preciso: le donne hanno diritti? Se sì, quali? E, soprattutto, come fare affinché questi diritti non annullino la supremazia mascolina? L’autrice sottolinea spesso come alla donna sia relegato un destino di relazione, che la allontana dall’essere considerata un individuo unico. 

Nel racconto La madre vi è una protagonista molto interessante da questo punto di vista: vedova, bellissima, indipendente. Per il lettore, dunque, sembra assurdo che tutte queste caratteristiche vengano annullate in favore di sua figlia. Dall’altra parte, invece, c’è Elisa, protagonista del racconto La Culpable per cui la maternità diviene un processo di espiazione dei propri peccati e redenzione sociale. 

È in questi due racconti che ci si muove chiaramente su due piani. Il primo piano è quello dell’annullamento di sé in favore di un altro individuo, della pura auto abnegazione. Il secondo piano è lo sfruttamento della maternità come un modo per poter essere reintegrati all’interno della società, per essere all’altezza delle aspettative sociali. Il sentimento materno, tanto decantato dall’ideologia patriarcale come appartenente a tutte le donne, è lontano da entrambe le protagoniste dei racconti. Diviene così una costruzione puramente fittizia, nata da una società fatta per gli uomini e in cui non c’è spazio per le donne diverso da quello domestico, relegandole al ruolo di figlie-mogli-madri.

Un momento fondamentale diviene così quello dell’allattamento. Esso viene descritto in uno dei racconti della raccolta Il pizzo strappato della Bazán, ovvero L’avvertimentoLa materia che rende vivo il bambino abbandona il corpo della madre per poter entrare in quello del neonato, quasi come se una parte del corpo materno abbandonasse l’io per potersi inserire in un altro essere. 

Ed è questo il fil rouge che ci porta alla narrativa dei giorni nostri. È proprio Elena Ferrante una delle autrici che maggiormente insiste sul problema del mostruoso materno per le proprie protagoniste. Chi ha approcciato alla lettura delle sue opere ricorderà la gravidanza di Lila, indiscussa figura centrale della tetralogia L’amica geniale. È proprio attraverso le sue parole che il lettore scopre quanto crudele, straziante, atroce e a tratti insopportabile possa essere il grembo materno, andando a creare una lacerante ferita e rottura. 

D’altra parte, però, tra le protagoniste della Ferrante c’è indubbiamente Leda nel romanzo La figlia oscura. Una donna colta, ambiziosa, che percepisce il ruolo materno come una gabbia che la costringe a rinunciare alla propria indipendenza. Per questo motivo, la visione dell’autrice che viene restituita al lettore è quella per cui l’amore materno sia assolutamente inscindibile dal senso di perdita e alienazione da sé. Leda è consapevole di aver trascorso anni persa nelle richieste e nelle necessità delle proprie figlie, esperienza che si rivela tanto corrosiva da portarla ad allontanarsi da loro per alcuni anni.

Partendo proprio da questi spunti letterari non è possibile fare a meno di chiedersi: siamo davvero tanto lontani da questi universi narrativi? Quanto ancora le donne sentono l’oppressione della necessità di diventare madri? E, soprattutto, quanto ancora dovranno portare il peso di non esserlo?  

È in questo modo che due autrici distanti quasi un secolo, in due Paesi europei differenti, trattano il medesimo tema, andando a scavare nella complessità del sentimento materno e, al tempo stesso, dando forma ad un dibattito ancora non concluso. 

Giorgia Oliveri

Leggi anche: La dialettica tra libertà e schiavitù nella maternità 

Giorgia Oliveri

Classe 2003; Dottoressa in Lettere Moderne e attualmente iscritta alla facoltà di Filologia Moderna. Alla ricerca smodata del bello in ogni cosa che la circonda: libri, arte, musica, fotografie. Con mille obiettivi ed una grande passione: scrivere di ciò che ama e far vedere, attraverso i suoi occhi, un mondo diverso.
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