Sanremo 2025: Olly sul trono, Lucio Corsi incanta, ma il vuoto di Giorgia e Achille Lauro è assordante
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Sì spengono le luci dell’Ariston, cala il sipario sul Festival numero 75 e rimangono gli applausi, i coriandoli e l’eco delle polemiche.
Sul gradino più alto del podio c’è Olly, che stringe il leoncino d’oro con un misto di incredulità e consapevolezza.
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La sua canzone, Balorda Nostalgia, ha vinto. Ha convinto. Ma ha davvero lasciato il segno?
C’è sempre un confine sottile tra vittoria e consenso: da una parte l’emozione pura, dall’altra la scelta rassicurante, che mette d’accordo tutti senza far sussultare nessuno. E quest’anno Sanremo sembra aver preferito la seconda. Olly ha portato una canzone perfetta per il pubblico giovane, melodica, costruita su una struttura che accarezza la nostalgia senza mai graffiarla davvero. Un ritornello che entra in testa, un testo che parla di noi, ma senza dirci nulla di nuovo. Funziona, certo. Ma è davvero quello di cui il Festival aveva bisogno?
Sanremo dovrebbe essere il luogo dell’imprevisto, dello stupore. E invece, tutto è sembrato scorrere su binari sicuri, come se la vittoria di Olly fosse scritta da settimane. Un successo meritato, certo, ma privo di quell’incognita che rende un primo posto qualcosa di più di un semplice trionfo.
Lucio Corsi e il colpo di scena che salva il Festival
E poi c’è Lucio Corsi, il miracolo inatteso. Il nome che nessuno avrebbe scommesso così in alto e che invece si è preso il secondo posto con una naturalezza che ha il sapore delle cose giuste. Lucio Corsi ha portato un pezzo che sembra uscito da un’altra epoca, con arrangiamenti che guardano al folk, al rock d’autore, a quei vinili impolverati che raccontano storie invece di limitarsi a suonarle.
Sul palco, Corsi ha portato un racconto, un’atmosfera, un immaginario intero. Ed è per questo che ha colpito così nel segno: perché non si è limitato a presentare una canzone, ma ha costruito un piccolo mondo in cui perdersi. Un mondo fuori dalle logiche del pop commerciale, lontano dai tormentoni, diverso.
Il suo secondo posto è la vera sorpresa di questo Festival. Perché in un podio che sembrava destinato ai soliti nomi, Lucio Corsi ha ribaltato la narrazione, mostrando che c’è ancora spazio per chi non segue la corrente, per chi osa, per chi non ha paura di essere sé stesso in un panorama musicale che spesso preferisce l’omologazione alla personalità.
E chissà, forse tra qualche anno non ricorderemo così bene il brano vincitore, ma ci resterà addosso quella strana sensazione di aver visto, almeno per un attimo, qualcosa di autentico.
Ma Sanremo è fatto anche di assenze. Di artisti che avrebbero meritato il podio e invece restano a guardare. E quest’anno l’assenza più rumorosa è stata quella di Giorgia e Achille Lauro.
Giorgia fuori dalla finale è qualcosa che non si spiega facilmente. Ha portato un brano potente, ha dominato il palco con la sua voce che potrebbe cantare qualsiasi cosa e renderla indimenticabile. Ha emozionato, ha convinto. Ma non abbastanza, almeno per la giuria.
E Achille Lauro? Lui che, negli ultimi anni, ha reso il Festival un teatro vivente, trasformando ogni esibizione in un quadro, in un manifesto, in una dichiarazione d’intenti? Quest’anno era lì, ma è come se non ci fosse. Non abbastanza presente, non abbastanza premiato. Troppo pericoloso per un Festival che ha deciso di premiare la sicurezza invece dell’azzardo.
E così Sanremo 2025 è finito con una sensazione strana. Un’edizione che ha fatto il suo dovere, ma senza prendersi rischi. Ha trovato un vincitore, ma ha perso l’occasione di sorprendere davvero. Ha costruito una classifica solida, ma ha lasciato fuori chi avrebbe potuto renderla più indimenticabile.
E alla fine rimane una domanda sospesa nell’aria dell’Ariston: Sanremo è ancora il Festival della musica italiana o è diventato il Festival della prevedibilità?
Sveva Di Palma
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