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Di università e lavoro non si muore: basta disuguaglianze e precarietà

Il 20 marzo in Italia si celebra la giornata nazionale dell’Università, ma è il caso di dire che dietro lo specchio di un sistema che dall’esterno appare (oserei dire) perfetto, -tanto da essere addirittura “romaticizzato” sui social-, si nasconde ben altro.

Si nasconde un lavoro gratuito e precario e un’Università quasi elitaria, dedicata solo a chi “può permettersela.”

È proprio in una giornata così importante, il 20 marzo 2025 che in più di quindici atenei si sono riuniti studenti e lavoratori precari (più del 35% del personale universitario è precario) per dire basta ad un sistema che al centro ha tutto tranne ciò che conta davvero: studenti e insegnanti. Ad innescare le mobilitazioni è stata in primo luogo la proposta di riforma Bernini del “pre-ruolo” (attualmente sospesa) e i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario della Ricerca, che ridurranno le risorse di 173 milioni rispetto all’anno precedente e che vanno a sommarsi all’esaurimento dei fondi PNRR. 

Napoli contro guerre e precarietà 

Non è la prima volta che la Federico II, una delle più famose università del capoluogo campano, è sfondo di scioperi e mobilitazioni, tra queste ricordiamo la manifestazione Pro Palestina, l’occupazione contro l’aumento degli affitti e la richiesta di residenze studentesche da parte soprattutto di studenti fuori-sede, i quali spesso sono costretti a spostarsi in continuazione per mancanza di alloggi. 

Durante la giornata di giovedì 20 marzo, studenti, ricercatori, dottorandi, docenti ordinari e docenti a contratto si sono riuniti nel chiostro della sede di Porta di Massa per gridare contro un sistema che sembra considerarli fantasmi. Tanti i dottorandi che hanno preso parola, giovani ragazzi che hanno sognato di intraprendere la carriera accademica e che ad oggi si trovano in bilico tra un lavoro precario e uno sottopagato, studiosi a cui spesso non resta che una scelta: cambiare paese, lasciare i propri affetti e allontanarsi dalla propria città natale, perché forse, a quanto pare, la frase “vai all’estero che ci sono più possibilità” è vera. 

Molti sono gli insegnanti che hanno deciso di lavorare fuori dall’aula, di tenere lezioni e ricevimenti all’aperto, sotto lo sguardo di tutti, un lavoro che spesso però è gratuito. A parlare è stato anche Antonio Del Castello, docente a contratto di Letteratura Italiana che si fa portavoce di un messaggio importante: la difficoltà di intraprendere una carriera nel mondo della scuola o una carriera accademica, si fa sempre più concreta, e spesso, quando si realizza, è vittima della precarietà, vittima di un futuro lavorativo costantemente incerto, in balia di decisioni che in poche ore potrebbero vanificare anni di studio, lavoro, impegno. Sottolinea poi la presenza ancora troppo incisiva del divario di genere e il modo in cui anche il lavoro precario sia una questione diversa tra uomini e donne: in Italia, la maggior parte delle donne ha un impiego precario e un contratto di lavoro part-time involontario, l’occupazione femminile rispetto a quella maschile è concentrata in pochi settori, e resta anche il problema della retribuzione, in quanto, ancora oggi, le donne spesso guadagnano di meno rispetto ai colleghi uomini. L’Italia ha un tasso di occupazione femminile pari al 53%, il più basso in Europa, che raggiunge il 66%.

Nonostante la facoltà di lettere moderne sia frequentata maggiormente da studentesse, il numero di insegnanti uomini è più alto rispetto a quello delle donne, anche perché spesso queste ultime, il cui lavoro è poco valorizzato, sono costrette a scegliere tra carriera, contratti irrisori e cura della famiglia e aggiungerei, a dover lasciare il lavoro o a dover mentire ai colloqui circa il desiderio di diventare madre per averlo. E così, giorno dopo giorno cresce il malcontento e diminuisce la speranza di quanti sognano di sedere dall’altro lato della cattedra. 

L’università è per tutti? 

Oggi l’università non è più per tutti. Studiare dovrebbe essere un diritto, istruirsi, conoscere, dovrebbero essere cose a cui tutti possono accedere e invece non è così. Le rette aumentano, ma gli stipendi diminuiscono e sono tante, troppe, purtroppo, le famiglie che devono scegliere se mettere un piatto caldo a tavola o dare al proprio figlio la possibilità di continuare gli studi. Sui social si leggono diversi tipi di commenti, a tutti è capitato di imbattersi in un ‘’i giovani non hanno voglia di far nulla’’ “chi studia potrebbe anche lavorare” certo, ma siamo sicuri che sei giorni su sette, otto ore al giorno con un compenso mensile di trecento euro si possa chiamare propriamente lavoro?

 “E se lavorando tutto il giorno ho la possibilità di studiare solo la sera e nei weekend e vado fuoricorso, non cambia nulla?” E no. Anche in quel caso cambia, perché se vai fuoricorso non sei considerato abbastanza bravo e quindi non puoi avere la borsa di studio, non ne hai diritto. Sei in ritardo. Ecco cosa siamo. Siamo davanti ad un sistema che fa sentire tutti costantemente in ritardo, tutti in attesa di un treno di cui non si conosce la destinazione, ma che si aspetta perché bisogna farlo, e così ci focalizziamo così tanto sui binari da non guardare il paesaggio intorno. Gli studenti si sentono sopraffatti, bloccati e non riescono a concludere il percorso, e tanti sono i casi in cui si tolgono la vita. E anche gli insegnanti e tutti i lavoratori precari. Non si arriva a fine mese, anche uscire a cena è difficile. Tante persone sentono di aver fallito, ragazzi e adulti. A quanto pare anche di università e precarietà si muore, ma nessuno sembra accorgersene. 

La precarietà, le aule senza manutenzione, i sogni spesso infranti, la paura del dopo, il suicidio. Tutto sembra non suscitare più scalpore. 

L’università dovrebbe essere per tutti, docenti e insegnanti, un luogo ricco di serenità e tranquillità, non un luogo da cui scappare per la troppa ansia o per il “troppo poco lavoro”. L’Italia non deve ridursi allo stereotipo del bel paese ‘’pasta pizza e mandolino’’, bisogna fare qualcosa.

Diversi sono gli scioperi e le manifestazioni che si terranno in futuro, insieme si può. Una voce forse da sola non arriva lontano, ma tante voci insieme possono creare un uragano.

Marianna Russo

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Marianna Russo

Marianna, classe 2003. Inguaribile romantica, innamorata dei girasoli e sempre ottimista. Quando scrivo scompongo il mio cuore su carta, la scrittura mi salva sempre. “Solo se ti rende felice.”
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