La nube di cenere che vetrificò un cervello nel 79 d.C.

Era il 79 d.C. quando il Vesuvio eruttò, coprendo le città di Pompei, Stabia ed Ercolano.
Ed è proprio in quest’ultima che, a distanza di secoli, si è scoperto un qualcosa di sensazionale, impensabile fino ad adesso, un caso unico nel suo genere.
Sto parlando della sensazionale vetrificazione di un cervello umano, trovato all’interno di un antico ercolanese vittima della tragica eruzione.
Un team di ricercatori italo-tedeschi ci ha fornito la risposta su come sia potuto accadere, team guidato dal vulcanologo Guido Giordano del Dipartimento di Scienze dell’Università Toma Tre. Lo studio, il cui titolo è Unique formation of organic glass from brain in the Vesuvius euption of 79 CE, è stato pubblicato su Scientific Reports.
Il vetro è un materiale difficile da trovare in natura, in quanto la sua formazione richiede un rapido raffreddamento dallo stato liquido, al punto in cui da evitare la cristallizzazione quando diventa solido. Molto più difficile che si formi e si conservi un vetro da materiale organico, perché composto principalmente da acqua – che è liquida a temperatura ambiente – e si può tramutare in vetro solo abbassando rapidamente la temperatura molto al di sotto dello zero e conservare come tale a quelle temperature.
Le analisi effettuate hanno dimostrato che la vetrificazione cerebrale è avvenuta tramite un processo di rapida esposizione del materiale organico prima ad una temperatura di almeno 510 °C, e di un successivo e rapido raffreddamento. Il risultato finale è stato la trasformazione in vetro, consentendo una preservazione integrale del materiale cerebrale e delle sue microstrutture.
È stato poi osservato che il materiale cerebrale non si sarebbe potuto vetrificare se l’individuo fosse stato riscaldato esclusivamente dai flussi piroclastici che hanno seppellito Ercolano, dal momento in cui i depositi di questi flussi, che non hanno superato i 465 °C, si sono raffreddati molto lentamente ed avrebbero distrutto completamente il materiale organico a meno che esso non si fosse già trasformato in vetro.
Il professore Guido Giordano ha spiegato che hanno ipotizzato che dopo le prime ore di eruzione che produssero la colonna eruttiva descritta da Plinio il Giovane, nella notte del 24 agosto (o forse 24 ottobre) iniziarono i primi flussi piroclastici che progressivamente seppellirono Ercolano.
Il primo flusso investì la città con una nube di cenere caldissimi, relativamente diluita, che non ha seppellito nell’immediato la città. Però fu un calore fatale per gli abitanti, uccidendoli all’istante, ma fu anche così intenso da aver “vetrificato” il cervello di una vittima a seguito del rapido raffreddamento dopo l’evaporazione dei tessuti. Solo più tardi la città è stata del tutto sommersa dai materiali espulsi dal vulcano.
Inoltre, Giordano afferma che lo scenario creato è importantissimo “non solo per la ricostruzione storica e vulcanologica, ma anche ai fini di protezione civile”, perché ci fa capire che anche flussi piroclastici meno densi, che non distruggono gli edifici, possono essere mortali per il calore elevato e che conoscere questi fenomeni ci aiuta a sviluppare strategie di prevenzione e mitigazione per proteggere le persone da eventuali eruzioni future.
Irene Ippolito
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