Le sette sentinelle di Napoli: storia, leggende e segreti di Castel dell’Ovo

Napoli, si sa, è una città ricca di contrasti e di misteri.
Un luogo dove la storia non è solo scritta nei libri, ma incisa, oltre che nel patrimonio genetico dei suoi abitanti, anche nella pietra, nelle strade e nelle mura delle sue antiche fortezze.
In tutto, in verità, se ne contano sette; sette imponenti sentinelle che, silenziose e fiere, vegliano da secoli su Partenope, custodendone gelosamente l’anima e il cuore e rendendola, di fatto, la città con più castelli al mondo.
Scrigni di leggende quindi, ma anche testimoni di battaglie, tragedie, intrighi e passioni, la loro storia si nasconde tra le pieghe di un’assordante modernità, ma scorre tutt’ora, come sangue nelle vene, sotto la pelle dell’intera città.
E se è vero che ogni viaggio, per sua stessa definizione, ha inizio con un primo importante passo, il nostro itinerario attraverso le fortezze napoletane non sarà certamente da meno, perché tutto ciò che esiste, in fondo, possiede un’origine, un principio, un progenitore; ecco quindi la storia del padre di tutti i castelli di Napoli, ecco la storia di Castel dell’Ovo.

Eretto su un isolotto di tufo denominato Megaride, il Castel dell’Ovo (in latino Castrum Ovi) domina il paesaggio del Golfo da più di duemila anni ed è, proprio per questo motivo, il più antico castello della città. La sua millenaria storia inizia nel momento in cui, nel I secolo a.C., il generale romano Lucio Licinio Lucullo acquisì la zona e, facendovi costruire una splendida villa dotata di ogni sorta di pregio e di ricchezza, impresse al sito il nome di Castrum Lucullianum. Con l’avvento dell’Impero romano, la villa venne fortificata da Valentiniano III e, in seguito, divenne protagonista di una svolta storica epocale: furono infatti proprio le sue mura ad ospitare l’esilio dell’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augusto, la cui deposizione segnò la fine dell’Età antica e l’inizio del Medioevo (476 d.C.). Trasformato in convento per iniziativa di alcuni monaci basiliani, nel 872 accolse il vescovo Atanasio, oggi Santo e compatrono di Napoli, fatto prigioniero dai Saraceni. Tuttavia, l’intervento delle flotte del Ducato di Napoli e della Repubblica di Amalfi portò alla sua liberazione, alla cacciata degli invasori e al ripristino dell’insediamento monastico. I monaci allora, per celebrare la vittoria, eressero una grande chiesa, San Pietro a Castel dell’Ovo, di cui oggi restano intatti soltanto gli archi gotici dell’antico loggiato.

Fu Ruggero II, una volta conquistata la città, a commissionare la demolizione dell’antico plesso e la costruzione di un nuovo e maestoso castello, splendido e immortale simbolo del potere normanno: correva l’anno 1140. Da questo momento in poi, secolo dopo secolo, la fortezza attraversò tutte le innumerevoli dominazioni che, lungo la linea del tempo, si succedettero sul trono del Regno: Svevi, Angioini, Aragonesi, viceré spagnoli e Borbone arricchirono il monumento con il loro prezioso lascito, permettendogli di acquisire il volto con cui, ancora oggi, esso si staglia contro le salate onde del mare napoletano.
Eppure, nonostante la Storia sia già stata particolarmente generosa nei suoi confronti, il castello divenne celebre soprattutto in virtù di un’antica leggenda legata al suo nome. Secondo la tradizione, infatti, il poeta-mago Virgilio avrebbe nascosto, nelle sue segrete, un uovo magico dotato del potere di proteggere, persino contro le peggiori calamità, l’intera città. La radicalizzazione di tale mito, entrato nell’immaginario collettivo di innumerevoli generazioni, divenne evidente quando, al tempo della regina Giovanna, un grave crollo mise in pericolo la tenuta stessa dell’edificio. Fu questa l’occasione in cui la popolazione, pervasa da un diffuso senso di panico, richiese a gran voce alla regina di sostituire l’uovo, in modo tale da scongiurare imminenti e sconvolgenti catastrofi.
Ma da dove nasce questo antichissimo mito? Bartolomeo Caracciolo, autore di una preziosa opera storiografica sulla città di Napoli, afferma che il poeta latino Virgilio, divenuto amico dell’allora magister civium di Napoli (l’equivalente dell’attuale sindaco), era stato da questi ingaggiato come suo consigliere, con lo scopo di ultimare urgenti lavori di bonifica in città. All’epoca, infatti, l’agglomerato urbano, privo di sistemi fognari e circondato da zone paludose, appariva estremamente vulnerabile al diffondersi di malattie e pestilenze, mentre la popolazione locale continuava a manifestare, nei confronti delle istituzioni, una forte e rabbiosa insofferenza. Il poeta latino, scelto in quanto ottimo conoscitore della materia, guidò i vasti e molteplici lavori di risanamento che interessarono l’area attigua e circostante la città, divenendo ben presto, almeno nell’immaginario collettivo dei napoletani, una specie di mago salvatore.

Anche in questo caso, la realtà storica appare meno entusiasmante della leggenda, ponendoci di fronte ad una lucida e icastica verità; la storia dell’uovo, sebbene ancora oggi affascini il folklore napoletano e i turisti di tutto il mondo, fu probabilmente inventata nel Basso Medioevo per spiegare l’origine del nome popolare di Castel dell’Ovo, diffusosi rapidamente e ispirato, in realtà, alla forma ovulare dell’edificio.
E così tra storia e leggenda, mito e realtà, Castel dell’Ovo continua a vegliare su Napoli, testimone immortale di un’identità che resiste, persino ai contraccolpi del tempo. Che sia nato dalla pietra o dalla magia di un uovo poco importa: ciò che davvero conta è il suo ruolo di custode dell’anima napoletana, di un popolo che cambia e si trasforma, ma che in fondo resta sempre sé stesso. Ed è forse questo il vero segreto del castello più antico di Partenope: non solo una fortezza, ma un ponte tra epoche, un luogo dove la memoria si fa eterna e la storia continua a pulsare, non diversa dal mare che ne accarezza dolcemente le mura.
Continua…
Antonio Palumbo
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