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Storia filosofica dei secoli futuri: il capolavoro dimenticato di Ippolito Nievo

Nel vastissimo e variegato panorama della Letteratura italiana del XIX secolo, pochi autori hanno saputo combinare genialità creativa e impegno intellettuale come Ippolito Nievo.

Conosciuto principalmente per il celebre Le confessioni di un italiano, Nievo ci ha lasciato un’eredità letteraria ricca e diversificata, in cui si distingue un’opera spesso trascurata, eppure straordinariamente innovativa, ovvero il romanzo distopico Storia filosofica dei secoli futuri

Pubblicato sul finire del 1860, questo scritto si presenta come una visione audace e profetica, un ibrido tra utopia e satira, capace di offrire un pittoresco ed immaginifico affresco sul destino dell’umanità.

In un’epoca di profonde trasformazioni sociali e culturali, Nievo si avventura, quindi, ben oltre i confini della narrativa tradizionale e, sperimentando ante litteram il genere della fantascienza, anticipa temi e inquietudini che risuoneranno, violenti e terribili, nei secoli successivi. Come possiamo interpretare oggi, alla luce del mondo attuale, questa nieviana “filosofia del futuro”? E perché questo capolavoro, rimasto per secoli silenzioso ai bordi della storia, può essere annoverato, senza troppe difficoltà, tra le opere narrative più attuali e pionieristiche della sua epoca?

Facciamo un passo indietro. Tanto geniale quanto sfortunato, il giovane Ippolito, dopo aver svolto un’intensa attività patriottica e dopo aver partecipato persino alla spedizione dei Mille in Sicilia, trovò la morte tra le fredde acque del mar Tirreno; il piroscafo Ercole su cui viaggiava, infatti, affondò nella notte tra il 4 e il 5 marzo 1861 ed egli, dopo una vita trascorsa con in braccio il moschetto, non ebbe neanche modo di assistere al neonato Regno d’Italia, che sarà proclamato il successivo 16 marzo. Eppure, se egli fosse stato soltanto un ragazzo di 29 anni a cui il destino, crudele e spietato, decise di spezzare la vita prima del tempo, probabilmente non saremmo qui, secoli dopo, a raccontare la sua storia. O forse sì, ma in maniera certamente diversa. Perché Ippolito, pur essendo un giovane soldato con il braccio forte di un guerriero, conservò sempre nel cuore l’animo di un poeta.

Prolifico attore sul palcoscenico del suo tempo, fu autore di romanzi, poesie, opere teatrali e persino di un ricco epistolario che, oltre a rappresentare un documento storico di inestimabile valore, permette di ricostruire, tra le righe, un’esistenza tormentata e passionale, romantica e terribile, tanto poetica quanto autodistruttiva. Tuttavia, tra le sue innumerevoli opere, è Storia filosofica dei secoli futuri ad emergere come un’affascinante e straordinaria anomalia, una vera e propria sfida lanciata dal giovane scrittore ai lettori di ogni tempo e, forse chissà, persino al tempo stesso. Eppure, quale significato potrebbe avere il dipingere un futuro ideale, quando è il presente stesso, con i suoi inni e le sue bandiere, a reclamare con forza te e il tuo moschetto? Semplice. Raccontare, impiegando i brillanti strumenti dell’ironia, significa per Nievo denunciare, denunciare le innumerevoli contraddizioni di una civiltà che, pur avendo raggiunto un livello di sviluppo tecnologico estremamente avanzato, continua ad essere dominata dagli antichi e inderogabili vizi dell’uomo, quali l’avidità e l’egoismo. E se “fare l’Italia” non significa soltanto esplodere proiettili e cannoni, ma anche (e forse soprattutto) divenire protagonisti di una rinascita morale e culturale del Paese, Nievo sa perfettamente di poter mettere al servizio della Nazione la sua penna e il suo ingegno, ancor prima della sua uniforme.

Ed è così che nasce, non diversa in questo da quella orwelliana, la dura e cruda distopia di Nievo, mentre la narrazione di Storia filosofica dei secoli futuri prende le sue mosse dal XIX secolo che, descritto come un periodo di grande fermento, è caratterizzato dalle lotte per l’indipendenza, dall’inefficienza dei governi e dalla dilagante corruzione delle classi dirigenti. Nei primi decenni del XX secolo, invece, il mondo conoscerà la tragica illusione di una democratizzazione del potere che, a conti fatti, resterà ancora concentrato nelle mani di pochi; Nievo, in questo caso, anticipa con sorprendente lucidità alcune dinamiche che saranno tipiche del Novecento, come le mancanze delle istituzioni repubblicane e liberali, l’instabilità politica, la manipolazione delle masse da parte di élite dominanti e, soprattutto, le speranze tradite dei popoli che permetteranno, a loro volta, l’avvento di reazioni e rivoluzioni autoritarie. Il XXI secolo sarà dominato da un imperante progresso tecnologico che, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, non porterà ad alcun miglioramento delle condizioni di vita, ma sarà soltanto sinonimo di crescente alienazione e disumanizzazione delle masse, ormai prive di valori autentici. La burocrazia crescerà a dismisura e le istituzioni, sempre più distanti dai bisogni dei cittadini, vivranno lontane e sorde ai richiami dei loro popoli.

Nel XXII secolo, Nievo prevede il collasso degli Stati nazionali e la creazione di un unico governo mondiale. Questo cambiamento, inizialmente accolto con entusiasmo, si rivelerà un’arma a doppio taglio: se da un lato, infatti, garantirà una maggior stabilità globale e porrà fine ad ogni conflitto, dall’altro soffocherà ogni forma di diversità culturale e politica, creando una società iper-centralizzata. Le differenze tra i popoli e le loro tradizioni saranno annullate in nome dell’uniformità, mentre il controllo sulla società sarà totale e sempre volto ad eliminare ogni forma di dissenso. Accadrà dunque, lungo tutto il XXIII secolo, che l’umanità, stanca della sua omologazione forzata e riscoprendo il valore della libertà, leverà un grido di ribellione contro l’oppressore, inaugurando una stagione di aspri conflitti tra diverse visioni del futuro. Alcuni, infatti, vorranno restaurare gli antichi Stati nazionali, altri cercheranno nuove forme di organizzazione politica. Il XXIV secolo sarà inaugurato da una svolta epocale: dopo secoli di progresso materiale e di alienazione tecnologica, l’umanità riscoprirà l’importanza della spiritualità e dei valori etici e, riorganizzandosi in piccole comunità autosufficienti, misurerà il proprio benessere non sulla base del possesso di beni materiali, ma sulla qualità della vita e delle relazioni umane. La tecnologia non scomparirà del tutto, ma verrà utilizzata in maniera più consapevole.

Infine, nel XXV secolo, il mondo raggiungerà finalmente un equilibrio tra progresso e umanità; le società saranno fondate su principi di giustizia e armonia, non esisteranno più guerre e la politica, intesa come puro servizio allo Stato, non sarà più basata sulla sopraffazione, ma sulla ricerca del bene comune. Sarà l’inizio di una nuova età dell’oro della civiltà umana, ben più splendente di qualsiasi altra. È dunque un tiepido messaggio di speranza a chiudere la narrazione nieviana: nonostante tutte le difficoltà, l’uomo ha ed avrà sempre la possibilità di riscoprire la propria umanità e di costruire un futuro migliore

A lungo oscurata dal successo delle Confessioni, Storia filosofica dei secoli futuri appare come un’opera inquietantemente attuale, tanto da farci ipotizzare persino doti profetiche nel suo giovane autore. Con il suo originalissimo miscuglio di utopia, satira e filosofia, infatti, Nievo sembra rivolgersi direttamente a noi, uomini e donne del XXI secolo. La sua critica all’idea di un progresso inarrestabile, inoltre, riecheggia nelle preoccupazioni odierne riguardo al cambiamento climatico, all’intelligenza artificiale e all’etica delle biotecnologie. Fino a che punto il progresso può essere considerato positivo? Quali sono i costi, morali e umani, di un’umanità che mette la scienza e la tecnica al di sopra di tutto? E, soprattutto, cosa accade quando, nel nome del progresso, si smarriscono valori essenziali come la solidarietà, la giustizia e il rispetto per la natura?

Nievo, ancor prima che l’Italia esistesse, se lo domandò. E forse, prendendoci un istante di pausa da questo mondo convulso e spasmodico, dovremmo domandarcelo anche noi.

Antonio Palumbo

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Antonio Palumbo

Antonio Palumbo, classe 1999, è dottore in Lettere Moderne e attualmente completa la propria formazione con una magistrale in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II". Insegna Lingua e Letteratura Italiana in un istituto scolastico privato e, appassionato di lettura e di scrittura, dedica il suo tempo libero anche alla fotografia naturalistica e al collezionismo di libri e di monete antiche. Insegue il sogno di visitare il mondo e di scoprire tutto il fascino e la complessità delle diverse culture umane.
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