L’evoluzione della donna nei manga

Vi è qualcosa di profondamente affascinante nel modo in cui le eroine dei manga si sono affrancate dal loro passato, come figure scolpite nella carta che, pagina dopo pagina, hanno spezzato le catene degli stereotipi per abbracciare la complessità della loro essenza.
Un tempo relegate a margini narrativi opachi, incastonate in ruoli di contorno o schiacciate dal peso di archetipi, oggi le protagoniste femminili si stagliano con fierezza sulla scena, portatrici di una forza che non è mera emulazione della controparte maschile, ma celebrazione di un’identità propria e sfaccettata.
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Questa metamorfosi, tuttavia, è il riflesso di una trasformazione più vasta, che affonda le radici nella storia stessa del Giappone. Se in epoche remote le donne potevano innalzarsi a guide spirituali o persino a sovrane, con il consolidarsi del sistema patriarcale e le filosofie Buddhiste il loro ruolo venne progressivamente ridimensionato.
Relegate a un’esistenza scandita dalle mura domestiche, lontane dalle stanze del potere e dai grandi eventi che plasmarono il destino del Paese del Sol Levante, la riduzione della loro centralità trovò un’eco anche nell’arte e nella letteratura, segnando per lungo tempo la rappresentazione delle figure femminili nei manga.
La condizione della donna: promessa e non individuo
Nel Giappone del XIX secolo, l’adolescenza femminile era un passaggio fugace, un ponte invisibile tra l’infanzia e il matrimonio, privo di un’identità propria. Le ragazze non esistevano come individui, ma come promesse: figlie in attesa di diventare spose, madri in divenire. Non vi era un termine per definirle e non erano destinate ad essere istruite in scuole, e questa lacuna linguistica rispecchiava la loro condizione di marginalità sociale.
Solo con l’accesso all’istruzione si rende necessaria una parola per designare questa fase dell’esistenza, ed è così che prende forma la cultura shōjo. Ma la nascita del termine non coincise con una reale emancipazione: le adolescenti donne erano considerate esseri fragili, delicati, da proteggere e modellare secondo le esigenze della società. La loro educazione si limitava a un addestramento domestico, volto a renderle custodi della moralità familiare, mai protagoniste del proprio destino.
Eppure, in questo angolo angusto della società, germogliò qualcosa di inatteso: il desiderio di libertà. Nella letteratura e nelle riviste destinate alle giovani lettrici si aprì uno spazio di evasione, un mondo dove l’immaginazione poteva fluire oltre le mura domestiche. I racconti che animavano le pagine di questi magazine tratteggiavano ambienti in cui si esploravano relazioni intense e delicate tra donne, sospese in una dimensione quasi onirica, lontana dalle imposizioni patriarcali. Lo shōjo manga nacque così, come un sussurro di ribellione, una fuga silenziosa dalla gabbia dorata in cui le giovani venivano confinate.
L’estetica stessa di questo genere rifletteva il suo spirito: gli occhi grandi e profondi delle protagoniste erano finestre spalancate sull’anima, specchi di sogni irraggiungibili e desideri inespressi. Non più semplici figure passive, ma angeli tragici, emblemi di una sensibilità destinata a lasciare un segno indelebile nella cultura giapponese.
Lo shōjo manga
Ma per comprendere appieno l’evoluzione del shōjo manga, è necessario volgere lo sguardo alle origini del fumetto giapponese. Le sue radici affondano nei rotoli illustrati emakimono del XII-XIII secolo, per poi evolversi nei kusazōshi e kibyōshi del periodo Edo, raffinati racconti satirici che mescolavano testo e immagine. Con l’apertura del Giappone all’Occidente, nacquero i ponchi-e, vignette caricaturali che fondono influenze locali e straniere, anticipando lo sviluppo del manga moderno.
Fu Kitazawa Rakuten, all’inizio del Novecento, a gettare le basi della narrazione seriale con il Jiji Manga, ispirandosi al fumetto americano per innovare il layout e la costruzione delle storie. Tuttavia, fu Osamu Tezuka a imprimere una svolta decisiva, introducendo personaggi femminili dotati di spessore e autonomia. Con La Principessa Zaffiro (1953), influenzato dal teatro Takarazuka – celebre per il suo cast interamente femminile – Tezuka infranse lo stereotipo della donna relegata ai ruoli di madre, moglie o figlia. La sua eroina, forte e indipendente, incarnava una nuova idea di femminilità, destinata a ridefinire l’immaginario narrativo del manga.
Il seme della rivoluzione: il Gruppo ‘24
Tezuka piantò il seme, ma fu il Gruppo 24 a fare davvero la storia. Ad inizio anni 70, un team di autrici donne rivoluzionò non solo la figura della donna nel manga, ma sconvolse dalle fondamenta il modo di raccontare queste ultime. Il Gruppo 24 (Nijūyo-nen Gumi) prendeva il nome dall’anno 1949, che corrisponde al 24° anno dell’era Shōwa. Tra le principali autrici troviamo Moto Hagio, Riyoko Ikeda, Keiko Takemiya, e Yasuko Aoike, tutte innovatrici del manga shōjo, sino ad allora dominato da storie semplici, di stampo sentimentale o comico, con protagoniste femminili per lo più passive: opere rivolte a bambine delle scuole elementari.
Nel corso degli anni 70, forti di una maggiore libertà editoriale concessa da riviste come Shūkan Shōjo Comic, le autrici iniziarono a esplorare generi più complessi come la fantascienza, la storia, l’avventura, l’horror e la romance omosessuale, prestando particolare attenzione alla psicologia dei protagonisti e alle loro emozioni. Storie mature, non più per ragazzine.
Le autrici del Gruppo 24 hanno sfidato a più riprese le convenzioni sociali, e il loro lavoro ha elevato il manga shōjo a una maturità narrativa senza precedenti, attraverso la denuncia della condizione femminile e delle ingiustizie sociali.
In questo contesto, Le Rose di Versailles di Riyoko Ikeda (1972) rappresentò sicuramente una svolta epocale. Lady Oscar incarna da sempre la lotta per la libertà individuale in un mondo che non fa che imporre agli esseri umani (in particolar modo le donne) ruoli prestabiliti. A differenza de La Principessa Zaffiro, Oscar sceglieva di vivere come un soldato, un uomo, dichiarando la sua indipendenza e combattendo con tenacia.
Un passo indietro e uno in avanti
Negli anni ’90, lo shōjo manga sembrò compiere un passo indietro, abbandonando gradualmente le tensioni drammatiche e le lotte per l’indipendenza che avevano caratterizzato le decadi precedenti. L’accento si sposta su narrazioni più intime e quotidiane, specchiando le esperienze delle lettrici con una delicatezza nuova. È in questo contesto che nascono opere come Le situazioni di Lui & Lei, dove le protagoniste si fanno portavoce di un’adolescenza autentica, fatta di insicurezze, passioni acerbe e sentimenti tumultuosi.
Eppure, mentre la realtà scolastica e i turbamenti amorosi conquistano il cuore dello shōjo, un altro filone si sviluppa in parallelo, intrecciando il lirismo tradizionale del genere con l’eco delle eroine ribelli del passato. Opere come Sailor Moon di Naoko Takeuchi e Card Captor Sakura delle CLAMP incarnano questa fusione: le loro protagoniste sono dolci e sognatrici, ma anche risolute e coraggiose, pronte a sfidare il destino con una forza che trascende il mero romanticismo.
Giovani guerriere che, pur immerse in un’estetica delicata e luminosa, portano con sé l’eredità di un’indipendenza conquistata, dimostrando che la dolcezza non esclude la determinazione, e che anche nei cuori più gentili può annidarsi una volontà incrollabile.
Shōnen e seinen: figure femminili complesse e sfaccettate
Per lungo tempo, shōnen e seinen hanno peccato di miopia, confinando le figure femminili a ruoli marginali: co-protagoniste, spalle silenziose o presenze funzionali alla crescita dell’eroe maschile. Anche quando forti e talentuose, queste donne restavano spesso vittime della predominanza maschile, incapaci di sottrarsi a dinamiche narrative che ne limitavano l’autonomia.
Tuttavia, negli ultimi decenni, il vento del cambiamento ha iniziato a soffiare con sempre maggiore insistenza. Personaggi come Winry Rockbell di Fullmetal Alchemist o Nobara Kugisaki di Jujutsu Kaisen incarnano una nuova prospettiva: non più semplici comprimarie, ma donne che sfidano gli stereotipi, imponendosi con la loro complessità psicologica e la loro indipendenza. Guerriere nel vero senso del termine, capaci di fronteggiare il pericolo senza essere relegate al ruolo di “damigelle in difficoltà”.
A queste si affiancano figure iconiche come Motoko Kusanagi di Ghost in the Shell e Frieren di Frieren – oltre la fine del viaggio, protagoniste assolute che non si limitano a subire il corso degli eventi, ma artefici del loro destino. Libere da legami che ne definiscano il valore, plasmano il proprio cammino con decisione e lucidità, dimostrando che la forza femminile non si misura in relazione agli uomini, ma nel coraggio di imporsi come soggetti autonomi, pilastri di storie che finalmente appartengono loro.
Autonomia e determinazione
La nuova generazione di eroine nei manga si distingue per un tratto fondamentale: l’autonomia, tanto emotiva quanto intellettuale. Non più figure dipendenti da un sostegno esterno – spesso maschile, ma donne guidate da istinto di sopravvivenza, acume e un profondo rispetto per sé stesse. Questo rappresenta un cambiamento radicale rispetto alle protagoniste del passato, spesso intrappolate in dinamiche romantiche o costrette a incarnare l’archetipo della “dama in pericolo” o dell’oggetto del desiderio. Con il tempo, questi stereotipi hanno perso la loro presa sul pubblico, diventando obsoleti.
Oggi le eroine del manga sono complesse e sfaccettate: coraggiose, vulnerabili, ma determinate. Non più relegate alle etichette riduttive di tsundere o yandere, risultano semplicemente umane. Questo non rappresenta un ribaltamento ideologico o una svolta dichiaratamente femminista, ma piuttosto una maturazione narrativa: i personaggi, indipendentemente dal genere, non sono più monodimensionali, bensì plasmati da sfumature psicologiche autentiche.
Di conseguenza, il divario tra protagonisti maschili e femminili si sta progressivamente assottigliando. Autrici come Hiromu Arakawa (Fullmetal Alchemist), CLAMP e Tsukasa Abe (Frieren – oltre la fine del viaggio) hanno ridefinito il concetto di eroina, svincolandola da ruoli accessori. Tuttavia, permangono criticità, come la persistenza della sessualizzazione eccessiva in alcuni generi, soprattutto negli isekai, alimentando dibattiti sulla rappresentazione femminile.
Nonostante queste ombre, il cambiamento è ormai irreversibile: le eroine non sono più semplici comprimarie, ma protagoniste a tutti gli effetti. Da Lady Oscar a Winry, da Usagi a Nobara e Frieren, queste figure hanno conquistato uno spazio che trascende le pagine disegnate, ridefinendo il concetto di femminilità nel panorama narrativo contemporaneo. Il loro viaggio continua, testimoniando il potere della narrazione nel riscrivere la realtà.
Federica Polino
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