Minchiarimento, ossia come sopravvivere agli “spiegoni” maschili (senza lanciare una sedia)

Le donne hanno il sacrosanto diritto di essere trattate da complete idiote.
Ogni volta che entro in un negozio, in una banca o in una concessionaria, non appena apro bocca, mi ritrovo catapultata in una sorta di seminario obbligatorio su cose che, guarda caso, conosco già.
Ogni volta, un déjà-vu…
… e penso che accanto all’insegna del negozio ci vorrebbe un cartello: «Benvenuta nel magico mondo degli “spiegoni”, dove il tuo interlocutore maschio di media intelligenza presume che la tua scatola cranica sia riempita per metà da glitter rosa e per metà da domande esistenziali su quale smalto si abbini meglio al tuo umore!».
Ma il punto non è che noi donne vogliamo a tutti i costi sapere tutto di tutto – anche se, spoiler, spesso ne sappiamo di più di chi ci illumina con la sua “esperienza”.
Il fatto è che ogni volta che osiamo varcare una soglia senza un uomo al guinzaglio, c’è sempre qualcuno pronto a chiederci se abbiamo un padre, un marito, un amico o un qualsiasi parente maschio con cui poter interloquire. Sì, sembra una barzelletta ma no, è vita vissuta.
TI MINCHIARISCO IO!
Sono convinta che ci siano solo tre certezze nella vita: la morte, le tasse e il fatto che, se sei una donna e osi avvicinarti ad una conversazione che contempli vagamente cavi elettrici, tassi d’interesse o cilindrate, ci sarà un uomo pronto a “minchiarirti”.
Per chi non lo sapesse, il “minchiarimento” – termine slang che personalmente adoro e che andrebbe aggiunto al vocabolario – è quel fenomeno per cui un uomo, con fare benevolo e paternalistico, decide che la tua vita fino a quel momento sia stata vissuta in una bolla di completa ignoranza, e dunque ti elargisce uno “spiegone” non richiesto ma tattico, tecnico, scientifico e illuminante su un argomento che, con ogni probabilità, già conosci. Ma andiamo per gradi.
CE L’HAI UN PAPÀ?
Io adoro mio padre: papà Raffaele è uomo di infinita pazienza, pronto ad accompagnarmi in ogni situazione perché conosce, tramite la mia pelle, il minchiarimento. Mi rode però ammettere che la presenza di mio papà “mi serve” in alcune circostanze, non perché io sia una disossata mentale, ma perché la sua presenza è un filtro col mondo esterno.
Mi spiego meglio: vi porto a fare un giro nella mia vita di donna che osa esistere e fare cose prima di chiedere la presenza di mio padre, che per il mondo esterno ha la funzione dirigenziale di supervisor alle mie scelte di vita.
CAPITOLO 1: L’ELETTRICISTA ILLUMINATO (LUI, NON IO)
Io ho un problema con mio elettricista – o meglio, forse lui ha un problema con me. Ogni volta che mi parla, mi guarda come se stessi cercando di risolvere l’equazione di Schrödinger su un pezzo di carta igienica. Ma non solo: quando lo chiamo non risponde. Se lo chiama mio papà in massimo 24 ore il problema è risolto. È quasi una magia, vero?
Lo stesso mi è accaduto quando ho dovuto comprare una lampadina presso un noto marchio di fai da te. Mi sono sentita come un cucciolo di panda in una riserva di caccia.
Il commesso mi ha detto con tono placido: «Guardi signora, queste cose sono un po’ tecniche. Ha un marito o un padre con cui parlare?». E io, scema, che pensavo di stare comunque comprando una lampadina, non un reattore nucleare! Rispondo, con lo stesso tono che si usa con un bambino che tenta di ingoiare le chiavi di casa: «Non sapevo di dover adottare un uomo per procedere all’acquisto!» (n.d.r.: comunque, la lampadina non me l’ha venduta, l’ho comprata su internet – che almeno non mi chiede se ho un padre!).
CAPITOLO 2: LA CONCESSIONARIA SENZA CONCESSIONI
È il 2017. Vado a ritirare l’auto nuova, fighissima, rossa fiammante. La vedo, coperta dal magico telo verde con un bellissimo cartello sopra: “Signor Carbone”. Penso che magari ho cambiato sesso durante la notte: controllo tra le gambe e invece no, sono sempre donna. Respiro profondo. Decido di sorvolare.
Già l’acquisto era stato comico: il venditore mi propone tutti “design graziosi” e auto “piccoline, perfette per una donna”. E io che penso, per inciso, che “grazioso” e “piccolino” li usi per un cucciolo, non per una macchina… E poi, come sempre: «Per le informazioni tecniche, possiamo aspettare qualcuno?».
Alla fine l’auto l’ho ritirata senza mio padre. Ma invece delle informazioni tecniche, mi hanno spiegato come si fa benzina (giuro!) e come si selezionano le stazioni radio. Pazienza.
CAPITOLO 3: LA BANCA, IL GRANO E LE RESPONSABILITÀ
Vado in banca per aprire un banalissimo conto corrente a cui associare una banalissima carta prepagata per gli acquisti online. Sembra una missione semplice. Ma ecco che spunta lo “spiegone”: dopo avermi supercazzolata e dopo avermi cercato di convincere che avevo bisogno di un finanziamento che non mi serviva, il commesso mi chiede: «Prima di procedere, suo marito o suo padre sono al corrente? Perché sa, si tratta di un impegno importante…».
Ma perché, mio padre o mio marito dovrebbero sapere quanti e quali conti ho? Respiro. Ma ne approfitto per rubare qualche caramella dalla scrivania del banchiere, sono vicina al calo di zuccheri.
CAPITOLO 4: UN UOMO PER AVERE UN TETTO
Arriva il momento di comprare casa, super felice trotterello per Milano e provincia in cerca di un tetto e quattro mura. Però il mio idillio immobiliare si interrompe presto, quando mi imbatto nella figura mitologica degli agenti immobiliari. E questa volta non ero pronta.
«Eh, signorina… Ma è sicura di voler affrontare questo passo da sola? Il marito o il papà non l’aiuta nella decisione?».
Sì, ovviamente è intervenuto praticamente sempre mio padre, che per mesi ha fatto da filtro tra me (la scatola cranica piena di unicorni che faceva da tappezzeria nelle varie visite immobiliari) e i vari agenti e mediatori. Risultato? La casa l’ho presa lo stesso e l’ho pure scelta io!
CAPITOLO 5: LA MAGIA DELLA BATTERIA
Porto la macchina dal meccanico per un problema alla batteria. Spiego cosa succede e uso termini “tecnici” (perché, incredibilmente, so come funziona). Ma niente. Ancora una volta mi sento come Bambi sperduto nella radura. Respiro.
«Signorina, aspetti che le spiego bene come funziona…». Cazzo, no, questa volta non era pronta per lo “spiegone” e il minchiarimento! Devo solo far controllare la batteria dell’auto!
«No, guardi, so come funziona. Mi interessa sapere se va sostituita. Vuole che glielo spieghi io, o procediamo?».
L’ABC DELLA SOPRAVVIVENZA ALLO SPIEGONE
Siamo di fronte ad una nobile arte zen. In alcuni uomini sembra che si attivi un interruttore automatico del “devo spiegarlo io” non appena una donna pronuncia parole come motore, investimento, trapano o programma informatico.
Azzardo a stilare un piccolo manuale di sopravvivenza:
- La tattica dell’assecondamento strategico: annuisci con aria interessata, poi fai di testa tua (come direbbe mia nonna, “entra da un orecchio ed esce dall’altro”). Praticamente fai come un opossum: fingiti morta, ma solo a livello cerebrale.
- L’ironia letale: tattica più rischiosa che prevede di rispondere con frasi del tipo «Non sapevo mi servisse una delega ufficiale da un uomo per procedere!».
- L’arma finale aka la “distruzione diretta”: quando sei alla frutta e non ce la fai più, puoi sempre iniziare a spiegare la teoria della relatività e guardare il loro sguardo smarrirsi nell’abisso. Anche il paradosso del gatto di Schrödinger funziona bene.
Ma comunque sì, possiamo decidere da sole.
Esisto, ragiono, compro case, investo (o butto) soldi, scelgo macchine e perfino (rullo di tamburi) cambio lampadine senza bisogno di un’autorità maschile di riferimento! Lo so, è scioccante, ma giuro che è vero!
Per tutti gli uomini che si sentono in dovere di impartire “spiegoni”, sappiate che la mia capacità di comprensione non dipende dal mio sesso. Ma la mia pazienza, quella sì, sta finendo.
P.s. Papà, scusa se ti ho tirato in ballo: ti voglio bene non solo perché sei praticamente obbligato a seguirmi a destra e a manca, ma soprattutto perché sei il primo ad accorgerti quando sono vittima di minchiarimento.
Elisabetta Carbone
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