Questione meridionale: verità o menzogna?

“Vai a lavorare al Nord, così vivrai meglio”.
Ah, se potessi ricevere un euro per ogni volta che ho sentito questa frase, oggi sarei ricca.
Ogni abitante del Sud Italia, almeno una volta nella vita, ha ricevuto questa offerta, costretto a lasciare la propria città d’origine e recarsi in un’altra per cercare lavoro.
Inutile negare che il divario tra Nord e Sud dell’Italia esiste, ed è ancora molto forte.
Basti pensare ai servizi, la sanità o l’istruzione che al settentrione funzionano molto meglio rispetto alle regioni meridionali.
E non solo, la denigrazione e sottomissione che sfocia soprattutto sui social nei confronti dei meridionali.
Ma il Nord è davvero un paradiso? Ed è meglio andare via dal Sud? Spieghiamo bene la situazione.
Tutto parte dalla questione meridionale, un’espressione che si riferisce allo squilibrio tra Nord e Sud del paese, il primo molto più sviluppato e all’avanguardia, il secondo ancora legato alla cura della terra e con scarso rendimento economico.
Questa locuzione nasce nel periodo post unitario, quando si fece sentire maggiormente l’arretratezza del meridione rispetto al settentrione.
“Questione meridionale” fu detta, per la prima volta, dal deputato lombardo Antonio Billia, nel 1873, a proposito della situazione drammatica del Sud. Ancora oggi, però, sentiamo questa idea che, ahimè, è radicata nel paese.
Facciamo chiarezza.
Prima del 1860, il Nord Italia aveva numerose terre e colture intensive, innalzando il livello di qualità della vita e quello economico. Il Sud, invece, era ancora legato al sistema feudale, in particolare con la borghesia che si era sostituita ai proprietari terrieri.
Con l’Unità, masse popolari iniziarono a farsi sentire riguardo la grave situazione economica nelle regioni del Mezzogiorno, chiedendo una soluzione immediata. Il governo promosse alcune riforme, economiche e sociali, che si rivelarono fallimentari.
Il malcontento sfociò, poi, in brigantaggio, con gruppi popolari che derubavano e depredavano le terre, repressi in maniera brutale. A ciò si aggiunse la scarsità dei raccolti e i moti dei contadini.
Insomma, una vera e propria tragedia.
Si delineò il Meridionalismo, una corrente culturale e politica che metteva l’accento sui problemi legati al divario tra Nord e Sud. Il meridione era diventato quasi una colonia interna, le tasse aumentarono vertiginosamente e tante terre vennero espropriate. I maggiori investimenti furono trasferiti a settentrione, così, pian piano il Sud si arretrò maggiormente.
Data la situazione, molte famiglie decisero di trasferirsi all’esterno e l’emigrazione di massa avvenne principalmente in America. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 milioni di abitanti espatriarono.
La questione meridionale è ancora un tasto dolente che accresce il divario tra il Nord, sempre più evoluto, ed un Sud arretrato. Meno fondi, meno lavoro e meno dignità. La differenza è, purtroppo, sotto gli occhi di tutti, che guardano affondare il meridione con le sue opportunità e meraviglie.
“C’è fra il nord e il sud della penisola una grande sproporzione nel campo delle attività umane, nella intensità della vita collettiva, nella misura e nel genere della produzione, e, quindi, per gl’ intimi legami che corrono tra il benessere e l’anima di un popolo, anche una profonda diversità fra le consuetudini, le tradizioni, il mondo intellettuale e morale”
Giustino Fortunato
Martina Maiorano
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