Sui “Confini” – libro di Pietro Damiano
C’è una stanza nella mia casa, posta al centro, tra il giorno e la notte; tra quello che si vede e quello che non si vede; tra la realtà e i sogni. Una stanza dove nascondersi.
Sono storie, tante storie che si sfiorano, si incontrano e si scontrano e si sovrappongono senza farlo mai sul serio nel libro di Pietro Damiano, Confini.
Sono storie di confine queste, sul confine invalicabile di una normalità che a volte fa male, la normalità che sorprende, scuote e innamora. Una normalità che sa di quotidianità ma mai di banalità. Quello che succede in questo libro non è chiaro, non si capisce fino in fondo dove si giunga o dove giungano i protagonisti. Si affastellano informazioni, si visitano luoghi per pochi istanti eppure si ha la percezione di conoscerli da sempre, si conoscono persone che mai ci si immagina di poter incontrare, si ascoltano racconti assurdi, impossibili, incredibili, eppure così veri da scuotere dall’interno.
Talvolta la magia cede il passo ad un eroismo antieroico, altre volte invece i ricordi dell’infanzia si fondono alle suggestioni del quotidiano, altre volte ancora la sessualità fa da padrona, giocando in casa la battaglia contro la monotonia dell’esistenza. E poi c’è la modernità, c’è la tristezza, la melanconia, la familiarità, la dolcezza, l’angoscia, il dolore della perdita, l’impossibilità di un mondo immaginario che diventa possibile tra queste pagine.
Quando i viaggiatori intergalattici si siederanno a mangiare il McStar sulla nuova area di servizio, tra un morso e l’altro, guarderanno la Terra e leggeranno “Questo mondo non ha fame” mentre un pagliaccio, poco distante, continuerà a ridere.
Per loro, la Terra continuerà ad essere un pianeta fantastico.
La critica sociale in nuovi mondi, paralleli, inesplorati, l’underground delle passioni che navigano sott’acqua, nascoste nelle stanze dei motel, e poi gli intrecci familiari e i ricordi e quella cosa che si chiama amore. E poi gli spunti, innumerevoli, tratti dalle canzoni che hanno segnato la nostra esistenza. Lo stile spurio ma deciso, la punteggiatura prepotente, il discorso diretto e narrazione incalzante sono questi i punti di forza di questi racconti che sembrano i nostri, quelli di una provincia che (non) si nasconde dietro la voce urlante dei suoi protagonisti.
I due bicchieri di prosecco sul tavolino incrociano le ombre con i telefonini stranamente silenziosi e immobili. Nell’aria parole agitate, affannate. Il suono di notifica su WhatsApp spezza la tensione. Ma non c’è il tempo di rispondere.
L’autore racconta,e si ha l’impressione che si racconti in queste storie che vagano incerte sui confini di vite che paiono già tracciate da una comunità e da un contesto che quasi a volte le condanna a determinarsi e ad autodefinirsi in un modo che gambizza, inquadra, limita annichilisce. Uccide.
E così il racconto è la nostra unica arma, la nostra fonte di salvezza e la poesia l’unica chiave per leggere il mondo.
(…) C’è una finestra, ormai bloccata da anni, che non si apre più. Sulle pareti umide, di un freddo sudore, scivolano gioie, dolori, immagini e parole ormai dimenticate. I sensi non mi aiutano, faccio fatica a ricordare, guardare ascoltare. È lo scorrere del tempo che ne accresce l’importanza. Quello che resta, rimane inespresso. Il tempo è uno, perché dargli un limite? Difetti umani.
di Luisa Ruggiero