Ma Roger era uno dei 101 dalmata?
“Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, le cortesie, l’audaci imprese io canto“. Se l’Ariosto scrivesse l’Orlando furioso oggi, probabilmente parlerebbe di Roger Federer. A trentasette anni più che suonati, il campionissimo svizzero continua a incantare chi guarda le sue partite e nel giro di un mese taglia e supera quota cento titoli ATP. La domanda sorge spontanea: serve davvero un altro articolo sul Re? No, ma a parlare di lui, in fondo, non ci si stanca mai.
È una tranquilla domenica di fine marzo, primo giorno di ora legale. Siamo tutti un po’ scombussolati, ma è una grande domenica di sport: campionati, Formula 1, MotoGP e, soprattutto, Roger Federer che vince il Master 1000 di Miami, due settimane dopo la sconfitta in quello di Indian Wells.
ATP, Master 1000, Miami, Indian Wells. «Ma di che stai a parla’?», penserà qualcuno. Parlo semplicemente di una delle storie di sport più incredibili di sempre, la storia di un fuoriclasse immenso, che ha iniziato a giocare nel millennio scorso e che, con le sue vittorie, quest’anno è diventato maggiorenne, ma nonostante abbia anche raggiunto la famosa “quota cento”, di andare in pensione non ne ha ancora intenzione.
Tutto inizia il 4 febbraio 2001, quando a Milano Roger vince il suo primo titolo ATP, l’associazione dei tennisti professionisti. Di lì a qualche mese ci sarà un ideale, ma storico, passaggio di consegne quando, agli ottavi di finale di Wimbledon, Federer batte il sette volte campione del torneo, e suo idolo, Pete Sampras. Raccontare ciò che accade dopo diventa difficile, soprattutto cercando di farlo in poche parole.
Basti pensare soltanto che dal 2003, anno del primo titolo Slam — gli Slam sono i quattro tornei più importanti e prestigiosi del circuito, quelli che assegnano il maggior numero di punti — a Wimbledon, Federer ha vinto questo torneo per otto volte (record maschile), ha vinto l’Australian Open per sei volte, lo US Open per cinque volte e il Roland Garros, per un totale di venti titoli, che lo rendono, a livello maschile, il tennista più vincente.
A questi si aggiungono sei titoli alle ATP Finals (anche qui record), ventotto titoli Masters 1000 — l’ultimo, appunto, a Miami il 31 marzo scorso — ventidue titoli ATP 500 e venticinque 250, un oro olimpico in doppio e un argento in singolare e una Coppa Davis — il torneo a squadre nazionali più importante del circuito. Non basta? No.
Non bastano le vittorie a descrivere la grandezza di questo fenomeno. Se non hai mai visto giocare Federer, ti sei sicuramente perso uno degli spettacoli più grandi che la natura possa offrire. Ciò che la natura ha donato a quest’uomo è il talento più puro che possa esistere, affiancato da una dedizione e un’intelligenza che, ovviamente, gli hanno permesso di rimanere al top delle classifiche per vent’anni ormai.
Quando Federer si muove sul campo è come se danzasse, come se volasse, con la racchetta che non è uno strumento, ma il naturale prolungamento del suo braccio. C’è una parola che può descriverlo al meglio e non è né esagerata, né un cliché: eleganza. Eleganza nei movimenti, nel disegnare le traiettorie, nel colpire la palla e, non di meno, nei suoi comportamenti dentro e fuori dal campo.
E allora, citando uno degli spot che Rolex, suo sponsor, gli ha dedicato, non mi resta che dirgli: “Thank you, Roger Federer, for always playing with grace“.
Di Federico Mangione