Non provarci! L’insegnamento ultimo dietro la filosofia di Bukowski
If you’re going to try, go all the
way.
Otherwise, don’t even start.
If you’re going to try, go all the
Way.
This could mean losing girlfriends,
Wives, relatives, jobs and
Maybe your mind.
Go all the way.
It could mean not eating for 3 or
4 days.
It could mean freezing on a
Park bench.
It could mean jail.
It could mean derision,
Mockery,
Isolation.
Isolation is the gift,
All the others are a test of your
Endurance, of
How much you really want to
Do it.
And you’ll do it
Despite rejection and the
Worst odds
And it will be better than
Anything else
You can imagine.
If you’re going to try,
Go all the way.
There is no other feeling like
That.
You will be alone with the
Gods
And the nights will flame with
Fire.
Do it, do it, do it.
Do it.
All the way
All the way.
You will ride life straight to
Perfect laughter, it’s
The only good fight
Thereis.
Harry Charles Bukowski nasce ad Andernach – Germania– il 16 agosto 1920 e dopo pochi anni dalla sua nascita, nel 1923, la famiglia decidedi trasferirsi a Los Angeles, in California. Alla periferia della città,Bukowski vive praticamente tutta la sua vita.
Una vita infantile e adolescenziale passata non molto allegramente, vissuta da emarginato e deriso dai suoi compagni di scuola per il modo di vestire “da femminuccia”, il suo accento dai tratti tedeschi e soprattutto a causa di una profonda acne molto violenta che lo tormenterà per tutta l’adolescenza. Nemmeno in famiglia la situazione è delle migliori, i genitori litigano spesso e non si respira un’aria molto accogliente.
Dopo alcuni corsi universitari di scrittura, trova lavoro come postino, ma non è un lavoro che lo soddisfa; continua a scrivere poesie ma senza ottenere grandi successi o riconoscimenti. Solo dopo un problema di salute che lo porta quasi alla morte, Bukowski decide di iniziare a scrivere romanzi principalmente ispirati alla sua vita e quindi autobiografici.
In quasi tutte le opere di Henry Chinasky, alter ego dello scrittore, ciò che si deduce è un profondo senso di smarrimento e di oppressione, i suoi racconti non danno speranza, non sembra mai esserci una luce in fondo al tunnel; è un racconto ambientato in pomeriggi dal color ocra e da notti buie e afose. Nulla arriverà a salvarlo, nessun messia all’orizzonte, ogni giorno è uguale a se stesso e la vita fa schifo.
In Post Office, primo romanzo autobiografico pubblicato nel 1971, al centro della scena c’è la sua condizione di lavoratore dipendente alle poste, di uomo totalmente insoddisfatto per il lavoro che è costretto a svolgere, completamente inesperto nel creare rapporti con le donne e soprattutto devoto all’alcool. Il tema dell’uomo insoddisfatto del proprio lavoro, è comunque un argomento ricorrente, anche in Factotum, secondo romanzo pubblicato nel 1975, si legge:
“Come cazzo è possibile che ad un uomo piaccia essere svegliato alle 6:30 da una sveglia, scivolare fuori dal letto, vestirsi, mangiare a forza, cagare, pisciare, lavarsi i denti e pettinarsi, poi combattere contro il traffico, per finire in un posto dove essenzialmente fai un sacco di soldi per qualcun altro e ti viene chiesto di essere grato per l’opportunità di farlo?”
Un altro tema ricorrente nelle opere di Bukowski è quello delle donne. Molti critici letterari credono che non tutto quello che lo scrittore ci racconta nei suoi romanzi sia del tutto reale, quel che è certo però, è che sia Charles che Henry non hanno mai saputo creare un vero e proprio legame affettivo con nessuna donna.
Tante hanno attraversato la sua vita, così come si evince anche dal romanzo Donne, ma mai nessuna è riuscita davvero a fargli capire cosa fosse l’amore; forse soltanto Jane, che viene definita dai critici la sua più grande musa. Bukowski ebbe anche una figlia, Marina Louise, avuta però da un’altra donna.
Il suo più grande capolavoro però, resta Panino al prosciutto, pubblicato nel 1982, che riesce a farci immergere completamente nella sua vita, fin dall’infanzia, fin dai primi litigi dei genitori vissuti nascosto sotto un tavolo in cucina; fin dalle prime derisioni e scherni a scuola, dai primi sintomi dell’acne e le conseguenti dolorosissime cure, in cui ogni singola pustola veniva incisa a freddo con degli aghi, sul viso, sulla schiena, ovunque…
L’abbandono della casa d’infanzia e la vita affrontata da solo, facendo l’unica cosa che gli è sempre riuscita: scrivere. Henry ottiene il suo primo vero contratto con l’editore Black Sparrow, a quel punto decise di lasciare il lavoro come postino. In una lettera scrive a riguardo:
“Avevo solo due alternative: restare all’ufficio postale e impazzire, o andarmene e giocare a fare lo scrittore e morire di fame. Decisi di morire di fame”.
Charles Bukowski muore nel 1994, a causa di una leucemia. Sulla sua tomba una lapide con la scritta: Don’try. Più volte in tanti hanno cercato di dare un senso a quella frase, lo stesso Bukowski ci dice:
“Qualcuno in uno di quei posti mi chiese: Cosa fai? Come scrivi, come crei? Non lo fai, gli dissi. Non provi. È molto importante: non provare, né per le Cadillac, né per la creazione o per l’immortalità. Aspetti, e se non succede niente, aspetti ancora un po’. È come un insetto in cima al muro. Aspetti che venga verso di te. Quando si avvicina abbastanza, lo raggiungi, lo schiacci e lo uccidi. O se ti piace il suo aspetto ne fai un animale domestico”.
Ma Bukowski era anche un grande fan di Star Wars e non è un azzardo ipotizzare che la frase incisa sulla sua lapide, Don’try, sia anche un riferimento proprio alla saga cinematografica; qui è il Maestro Yoda a prendere la parola mentre cerca di insegnare a Luke Skywalker ad usare la Forza. Il Maestro afferma: “Try not, do or do not. There is no try”.
Un concetto poi espanso nella poesia più profonda di Bukowski, Roll the Dice, riportata in apertura. Il concetto è semplice: se ami qualcosa, e sei fermamente convinto che questa cosa sia la cosa che più di ogni altra vuoi al mondo, fallo fino in fondo, a dispetto di tutto, altrimenti, non cominciare neanche.
Carlotta Maschio