Mimì e le ragazze della pallavolo – Laddove Mimì sta per Domenico. Sul corpo e le sue identità
La rassegna SportOpera, parte integrante ed ormai essenziale del Napoli Teatro Festival, è diventata, nel tempo, una finestra insostituibile sulle storie sportive più celate, nascoste, emozionanti. I personaggi presentati sono rappresentanti di realtà insolite, provengono da dolori e piccoli grandi tragedie, globali e quotidiane.
Il 14 giugno scorso ha debuttato, sullo splendido palco del Teatro Sannazzaro, lo spettacolo di Sarasole Notarbartolo “Mimì e le ragazze della pallavolo – Laddove Mimì sta per Domenico”, ennesima ricerca umana e sportiva pregna di critica sociale, sentimento e pura arte teatrale.
Non sempre l’operazione di “rimpicciolire” un evento storico di enorme portata geolocalizzandolo a Napoli riesce, il pericolo di incappare nella banalità, nei campanilismi sciocchi è reale. È difficile incastrare in una simile accozzaglia di umanità una vicenda mondiale, universale. Eppure qui ci troviamo di fronte alla famosa eccezione che conferma la regola, in quanto la fattura di questo spettacolo unico è abile, sconcertante.
La storia della protagonista, Domenico detto Mimì, è raccontata dalla giovane attrice Fabiana Russo con naturalezza, fermezza, grazia. Fabiana è un Mimì dodicenne, poi diciottenne, un famoso giocatore di pallavolo. Poi è uno/a Mimì ventenne, sia uomo sia donna, la sua avversione verso il suo corpo maschile è dolorosa per il pubblico, completamente investito nella narrazione.
Mimì/Fabiana cresce, ha ventuno anni ed è determinata, è ormai una donna completa, l’indecisione abbattuta, lontana. Fabiana ci accompagna e cambia, la metamorfosi evidente ma mai troppo brusca. Ci divertiamo, ridiamo, la protagonista parla come noi, interagisce con sua madre che la sveglia presto al mattino per gli allenamenti come noi, suda, piange, bestemmia.
L’immediatezza espressiva ci permette di capire a pieno ciò che stiamo vedendo, così che la nostra attenzione, il nostro interesse, possano essere totalmente ingaggiati nel personaggio e nella storia.
Il teatro si rende funzionale ad una voce, ad un messaggio, senza mettersi da parte o intimidendosi. La scenografia, la scenotecnica, le musiche ed i voice-over hanno tutti lo stesso scopo: farci ascoltare Mimì, la sua determinazione, il suo coraggio. Mimì è un ragazzo, Domenico, ma è anche un atleta, un pallavolista di talento. All’apice della sua carriera, Mimì comincia a fallire, a decadere. Non è più la giovane promessa su cui il mercato ha scommesso. Mimì odia il suo corpo, prova vergogna a spogliarsi davanti ai suoi compagni, persino davanti a se stesso.
Non può essere un atleta, se odia il suo corpo, se non lo sente proprio. Il corpo è un tempio, è la nostra casa primaria. Deve appartenerci, dobbiamo prendercene cura. I medici dicono a Mimì che il problema è nella testa, è una malattia, rinunciando al suo corpo di uomo non sarà più un atleta.
Le due identità, le forme che il suo corpo può prendere sono in opposizione l’una all’altra, si annullano in un purgatorio di indefinitezza ed incompletezza, dove nessuna felicità è possibile. Ma la vita ci insegna e dice Mimì, è multiforme, fluida. L’identità è l’unica cosa davvero nostra, l’unico vero mezzo per conoscere e sperimentare il mondo. Non ci si può arrendere ad un ordine arbitrario, stabilito da altri, assolutamente estraneo a noi, ai nostri valori e contrario ai nostri bisogni primari – come quello dell’auto-riconoscimento.
“Se non sono il mio corpo, cosa sono?”, questo è il quesito ultimo a cui ci vuole far accedere lo spettacolo, riflessione profonda e attenta sulla questione dell’identità.
Il fine, per Mimì, è lieto. Evitando i dettagli per non rovinare il finale ai futuri spettatori, basta dire che Tiffany Pereira de Abreu, brasiliana – la “reale” Mimì – è la prima pallavolista trans ad essere entrata in una squadra femminile. Nel 2017, Tiffany, nata Rodrigo, è arrivata nella squadra Golem Palmi e potrebbe essere selezionata per la Olimpiadi del 2024.
Sarasole Notarbartolo, oltre a raccontare una grande impresa sportiva, mette in scena una aspra, tagliente critica sociale su uno degli argomenti più attuali e scottanti: il gender e la situazione della comunità LGBT, i suoi diritti nello sport e negli altri ambiti della vita e del lavoro.
È sempre sorprendente quanto le osservazioni su questo argomento si facciano man mano più complesse, quanto esse ci mettano in discussione in quanto società formata e costante, quanto testino la nostra sensibilità e flessibilità. L’arte, come spesso mi è capitato di scrivere, assume una nobiltà ulteriore quando riesce a parlare di storia universale, di cambiamento epocale, di rinnovamento. Qui, siamo alle vette massime della nobiltà, dell’intelligenza e dell’amore per tutte le declinazioni e le sfumature dell’umanità.
SportOpera continuerà a sorprenderci ed informarci sui palchi di Napoli per gran parte dell’estate, non perdete quest’occasione, è davvero illuminante.
Sveva Di Palma