Anna dai capelli rossi? Chiamatela Anna!
«E la gente ride di me perché uso parole grosse. Ma se si hanno in testa idee grosse, bisogna usare parole grosse per esprimerle, non crede?»
Alzi la mano chi non ha mai sentito parlare di Anna dai capelli rossi, la vivace orfanella con le trecce fiammanti adottata per errore dai solitari fratelli Cuthbert, che decidono di crescerla nella loro fattoria di Green Gables, ad Avonlea, sull’Isola del Principe Edoardo. Pare impossibile anche solo pensare che ci possa essere un braccio alzato. Non sono molto lontane le mattine in cui Mediaset teneva compagnia ai bambini con il cartone animato Anna dai capelli rossi, fedelissimo adattamento del libro omonimo, il primo di una lunga serie, scritto da Lucy Maud Montgomery all’inizio del Novecento. E adesso è Netflix a regalarci qualche ora piacevole con questa ragazzina dalla lingua sciolta, con la serie Chiamatemi Anna, trasmessa in Canada dalla CBC Television, di cui è in lavorazione già una terza stagione.
Questa serie è un gioiello, Anna Shirley la protagonista femminile di cui avevamo bisogno: forte, indipendente e appassionata in un tempo in cui alle donne non era concesso essere nessuna di queste cose, Anna è una vera e propria femminista, che sogna l’uguaglianza e la libertà di espressione. E a chi ricordava un personaggio triste e sfortunato dico “Ricorda meglio!”.
Tra le pagine del romanzo già si cela una personalità intraprendente ed esuberante, che Amy Beth McNulty, attrice di soli diciassette anni, riesce a portare sullo schermo in maniera assolutamente straordinaria e autentica, senza risultare esagerata o macchiettistica. Anna Shirley è reale, una ragazzina come altre: sogna il principe azzurro, ma i maschi non li sopporta; è frizzante e piena di energie, ma guai a starle vicino quando ha il ciclo mestruale; commette tonnellate di errori per cui si scusa, ma poi le riesce difficile perdonare quelli degli altri.
Lo sa bene Gilbert Blythe, suo compagno di scuola, che ad Anna non piace perché il primo giorno le ha tirato i capelli chiamandola Pel di carota. Gilbert, che nella serie ha i tratti dolci di Lucas Jade Zumann, è il classico bravo ragazzo di cui non puoi evitare di innamorarti. Se avessi dieci anni di meno, avrei perso la testa per lui. Ma chi voglio prendere in giro? L’ho persa lo stesso.
La chimica che c’è tra Anna e Gilbert è innegabile, eppure quanta sofferenza prevedo per le spettatrici – e per me – che desiderano un presto lieto fine tra i due. Ahi noi, ci sarà da aspettare parecchio. Anna, nella serie come nel libro, è una creatura orgogliosa e libera, che non si accorge di avere il vero amore proprio sotto il naso. O, forse, lo sa, ma ha paura di ammetterlo.
Non pensate, però, voi uomini che Chiamatemi Anna sia una serie per sole donne. Oltre all’amore (o all’inizio di un amore) c’è di più. La sceneggiatura di Moira Walley-Beckett tratta moltissimi argomenti, quali l’amicizia, la famiglia, l’omosessualità e il razzismo, risultando veritiera e fedele all’epoca in cui è ambientata, tuttavia sempre con leggerezza, vicina ai toni un po’ fanciulleschi del libro, pur non seguendone alla lettera i fatti.
E se non saranno i personaggi e le loro storie a catturarvi – ma come può mai essere? – lo faranno certamente i paesaggi e i costumi, ricostruiti fin nei minimi dettagli, dandovi proprio l’impressione di vivere lì, nella verdeggiante Avonlea, tra fattorie, boschi rigogliosi e acque quiete.
Nell’attesa (per me spasmodica) della terza stagione, è d’obbligo un re-watch degli episodi già andati in onda. Se siete tra quelli che, invece, non l’hanno ancora vista, correte subito a farlo e portate con voi gli amici, i genitori, i nipotini e i figli. Questa è una serie per tutti i generi e per tutte le età, che scalda il cuore, emoziona e insegna la forza e l’emancipazione. Ce n’è bisogno.
Claudia Moschetti