Napoli Film Festival: Pupi Avati ed “Il gotico padano”
Gli eventi del Napoli Film Festival continuano, con proiezioni ed interviste a personaggi illustri del cinema classico e contemporaneo. Ieri, al cinema Vittoria, l’incontro con il gigante del cinema italiano Pupi Avati, che ha parlato di cinema, di vita, di “male” e di attualità presentando il suo ultimo film, “ Il signor Diavolo”.
Ottantenne vitale e loquace, Pupi Avati si presenta come un signore spiritoso, cineasta consapevole e regista dalla fantasia attiva. Prima della proiezione del film, si lancia in un vivace dibattito con il pubblico sulla natura del male, sulla sua quarantennale relazione con il cinema, sulla qualità dei suoi film. “Ho il discorso dell’Oscar già preparato”, scherza, ma senza lasciare il dubbio che sia assolutamente vero. La sua lingua è un’arma veloce, ha parole poco dolci per alcuni tipi di cinema o televisione, per le fiction italiane da lui definite ormai “datate”. Pupi Avati è un uomo che ama il progresso, anche se le sue opere sono piene di atmosfere retrò, riconducibili a sua detta a delle atmosfere della sua adolescenza. I suoi 14 anni, per essere precisi, età per lui essenziale, l’apice di una felicità mai più raggiungibile.
Definisce il genere dei suoi film “gotico-padano”, e la scelta di parole è spiritosa, intelligente ed emblematica. Gotico, spiega, in senso sacrale, legato alla religione. E padano perché orientato a cogliere le atmosfere del nord italia rurale, depopolato.
Ed è precisamente questa l’ambientazione del film del 2019, “Il Signor Diavolo”, un ritorno al suo esordio horror/thriller. Il setting è un Veneto del 1952, politicamente schierato, luogo di giochi di potere tra religione e clero. Il soggetto è complesso, un omicidio avvenuto in strane circostanze, suore e sacrestani superstiziosi ed inquietanti, ragazzini deformi con denti “da maiale”, emarginati e vittime di pregiudizi. La ruralità è una chiave importante, in quanto scelta stilistica e culturale, definisce gli umori e le interazioni che scolpiscono questa storia esoterica, demoniaca. Il pregiudizio è un altro punto centrale, sotto storia dell’intreccio horror che entra sotto la pelle, misterioso e indecifrabile. Avati sa come creare atmosfere tese e raccapriccio nello spettatore senza strafare con lo splatter, o con le jump scares che tanto sono care al cinema hollywoodiano. L’horror, per quanto saturo di sangue, possessioni demoniache e storie di fantasmi, resta impregnato di quel tocco d’autore che non sembra mai abbandonare il cinema italiano, distinguendolo dagli altri.
Tuttavia, per quanto sia piacevole e diverso immergersi in atmosfere più distese e meno sincopate di quelle a cui ci ha abituato l’America, “Il Signor Diavolo” è forse eccessivamente retorico nel suo continuo riferimento al passato, ad un cinema gotico in auge negli anni ’70 e ormai vagamente obsoleto.
Avati è un regista di tradizione e di storia, ma queste permeano l’opera coprendo forse una certa reazionarietà di base che rende la pellicola lenta e priva di reali ambizioni sperimentali. Il film resta scritto, montato e girato in modo magistrale ed ineccepibile, la mano del grande regista difficilmente sbaglia o crea qualcosa di scarsa qualità artistica. Il prodotto finale è comunque un buon film, solido e scorrevole, pieno di simbolismi e dettagli ad hoc per amanti della storia del cinema italiano. Ed inquieta al punto giusto, il finale aperto ci lascia con la voglia di sapere di più.
E di questo Pupi è consapevole, avendo nel cassetto il progetto di attuare un sequel sotto forma di libro. E lì, magari, nella forma scritta, la vicenda troverà il suo mezzo d’espressione ideale.
Buona visione!
Sveva Di Palma