Essere Louise Brooks
Diventare un’icona mondiale dal cinema muto degli anni ’20, in anticipo di diverse decine d’anni sul corso della modernizzazione dei costumi del XX secolo, non è cosa da poco. Ma la storia di Louise Brooks, la Cinderella di Hollywood, non ha nulla di banale.
Esclusa dall’olimpo hollywoodiano che non le hai mai perdonato la scelta di lasciare l’America all’apice della sua carriera di attrice per girare tre film in Europa, è una delle più grandi attrici-mito. Una figura in grado di durare nel tempo, imponendosi anche alle nuove generazioni.
“Vivevo in una sorta di incubo. Mi ero perduta nei corridoi di un grande albergo e non riuscivo più a ritrovare la mia camera. Ero sfiorata da altre persone, ma avevo l’impressione che non potessero né vedermi né udirmi. Così sono fuggita da Hollywood e tuttora non ho ancora smesso di scappare”, scriverà di sé stessa, molti anni più tardi.
Interpretando personaggi femminili dalla spiccata personalità, artefici del proprio destino in film con tematiche molto progressiste come l’omosessualità, Louise Brooks diventò in poco tempo l’icona delle “Flapper”, donne indipendenti dal genere maschile che fumano in pubblico e vivono una sessualità aperta.
Ballerina, attrice, scrittrice e perfino critica proprio di quel cinema che le aveva fatto raggiungere le stelle per poi rigettarla sul più basso selciato delle strade newyorkesi.
Avrei potuto darvi mille motivi per cui ho deciso di illustrare proprio Louise Brooks ma ho pensato che raccontarvi un po’ della sua storia sarebbe stato sufficiente.
Disegno di Simone Passaro