La sorte di Giasone: tra gloria e sfortuna – parte 1
A Iolco, in Tessaglia, una grave carestia decimava la popolazione. Ino, novella sposa del re Atamante, era follemente gelosa dei due figli che il re aveva avuto da Nefele, sua prima sposa, ormai defunta.
Pertanto, persuase il re che l’unico modo per allontanare la carestia era quello di sacrificare Frisso ed Elle al padre degli dei. Nefele che vuol dire “nuvola”, al momento del sacrificio intervenne mettendo in salvo i suoi bambini su un grosso ariete volante dal vello d’oro. Nel loro viaggio verso l’Oriente, purtroppo, i fanciulli incontrarono una violenta tempesta che scaraventò Elle in mare: da quel giorno quel mare prese il nome di Ellesponto, che letteralmente significa “mare di Elle”.
Frisso riuscì invece ad arrivare, aggrappato all’ariete nella lontanissima regione Colchide, al tempo sconosciuta alla maggior parte dei greci. Grato per esservi arrivato sano e salvo, sacrificò l’ariete al divino Zeus e donò al re Aiete che lo aveva accolto il prezioso vello d’oro, il quale pose un drago a sorvegliarlo.
Contemporaneamente il sovrano di Iolco, Esone, giunse alla grotta dove viveva il centauro Chirone, noto per la sua proverbiale saggezza ed al quale molti re in passato avevano affidato, proprio per questo motivo, i loro figli. Il trono di Iolco stava per essere usurpato dal fratello del sovrano, un essere malvagio ed empio. Il piccolo Giasone doveva essere educato ed istruito per diventare re un giorno, spiegò l’uomo al centauro, il quale fu ben felice di accoglierlo presso il suo rifugio.
Il ragazzo crebbe imparando le arti e tutte le discipline e ben presto manifestò il desiderio di ritornare nella sua città e riprendersi il trono che era appartenuto a suo padre. Quando compì diciotto anni si congedò dal centauro Chirone e partì alla volta di Iolco, fiero e fiducioso delle sue possibilità.
Quando mancava ancora un giorno di viaggio per raggiungere l’agognata meta, Giasone incontrò una vecchina sulla riva di un fiume e senza pensarci due volte si offrì di aiutarla a guadarlo. Il giovane prese l’anziana tra le braccia e, nonostante la corrente fortissima che gli portò persino via un sandalo, la condusse dall’altra parte. Quell’anziana signora, piena di gratitudine, prese allora a narrargli una storia, la storia di Atamante, antico re di Iolco, dei suoi figli Frisso ed Elle, della loro madre Nefele, la nuvola e della perfida Ino che costrinse il padre a sacrificarli a Zeus e dell’ariete dal vello d’oro. A quel punto la vecchia si trasformò in Hera, la bella regina dell’Olimpo, e profetizzò al giovane che sarebbe stato proprio lui ad impadronirsi del vello d’oro. Così la dea sparì.
Ancora sconvolto da quella apparizione, Giasone riprese il viaggio ed in meno di un giorno giunse al cospetto di Pelia. L’usurpatore fu davvero sorpreso di vedere quel ragazzo così fiero ed impettito con un sol sandalo ergersi sicuro pretendendo il trono della città, anche perché anni prima a Pelia era stato predetto l’arrivo di un giovane con un sandalo solo che avrebbe preteso il trono. Il perfido Pelia affidò a Giasone un’impresa impossibile, quella che, a sua detta, solo un vero sovrano avrebbe potuto portare a termine: la conquista del fantomatico vello d’oro del famoso ariete che condusse Frisso nella Colchide.
Senza perdersi d’animo, il fiero giovane accettò l’arduo compito affidando la costruzione di una grande ed imponente nave al carpentiere più bravo della città: Argo. La voce che Giasone sarebbe partito alla volta della Colchide si sparse velocemente in tutta la Grecia e da tantissime parti giunsero giovani coraggiosi che non vedevano l’ora di prendere parte alla leggendaria spedizione alla conquista del vello d’oro.
Quando la nave fu pronta i giovani ardimentosi erano cinquanta. Tra questi c’erano molti eroi tra cui Teseo, che uccise il Minotauro, Peleo, celebre padre dell’eroe acheo Achille, Castore e Polluce, i due Dioscuri gemelli, figli di Zeus e Leda, Orfeo, il famoso cantore dell’Olimpo, originario della Tracia, che già all’inizio del viaggio sorprese tutti con un incredibile prodigio: la nave, che era molto grande e pesante, non si riusciva a varare, Orfeo allora prese la sua lira e cominciò a suonare una melodia così bella che la nave, da sola, scivolò in acqua.
Gli eroi partirono per la grande avventura che li attendeva. E le difficoltà non tardarono a sopraggiungere, la Colchide era lontana, a oriente del Ponto Eusino, in una regione compresa tra il Caucaso e l’Armenia e tante erano le insidie che si opponevano tra gli Argonauti e la conquista del vello d’oro.
Superato l’Ellesponto furono spinti da una spaventosa tempesta a Cizico, dove vennero a battaglia con i Dolioni; quindi arrivarono in Bitinia dove Polluce, valente pugilatore, fu costretto a misurarsi con il re di quella terra, Amico, successivamente giunsero a Salmidesso, in Tracia. Qui conobbero Fineo, un indovino cieco, il quale grato per essere stato liberato dalle Arpie, terribili mostri con il volto di donna ed il corpo di uccello, istruì gli eroi sul continuo del viaggio ed in particolar modo sul difficile passo delle Simplegadi, l’attuale stretto del Bosforo, compreso tra il mar di Marmara e il mar Nero: due grossi scogli mobili segnavano l’ingresso nel Ponto Eusino. Il continuo spostamento di questi due massi creava un vero e proprio passaggio che si chiudeva e si riapriva velocemente e costantemente così da rendere arduo il passaggio di una nave. Fineo consegnò a Giasone una colomba bianca che doveva essere liberata in vista delle Simplegadi.
Il libero transito della colomba segnalerà l’apertura del passaggio, in caso contrario sarà consigliabile tornare indietro poiché il tentativo non avrebbe fortuna.
Luisa Ruggiero
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