Marat-e un’occhiata: David e Caravaggio due genialità artistiche a confronto
Napoli non è solo “a’ pizza o’ sole o’ mare”, ma anche tanta cultura. Infatti, è stata e continua ad essere un polo di riferimento artistico-culturale. Tra le personalità eminenti che ha ospitato, c’è uno dei più celebri e importanti pittori: l’intramontabile Caravaggio.
L’artista milanese trascorse qui all’incirca gli ultimi dieci anni di vita, regalando alla città numerosi capolavori. Tra questi, il Martirio di sant’Orsola (1610), considerato il suo ultimo dipinto, è ancora conservato a Napoli, presso il Palazzo Zevallos.
Parte del palazzo è stata adibita a galleria museale dal gruppo bancario Intesa San Paolo che, approfittando della presenza in sede dell’opera, organizza spesso eventi legati al pittore e alla sua fortuna.
Dal 5 dicembre al 19 aprile 2020 si terrà la mostra “David e Caravaggio. La crudeltà della natura, il profumo dell’ideale” in cui saranno esposte copie di opere del neoclassico francese Jacques-Louis David, fortemente ispirate da Caravaggio.
Da amanti dell’arte quali siamo, non abbiamo potuto resistere e ci siamo già precipitati!
Nella suggestiva cornice del Palazzo, siamo stati trasportati dalla melodia di un pianoforte e dall’atmosfera trasognante, in un viaggio nel tempo. Un’esperienza immersiva ci ha fatto conoscere i due artisti a confronto, in particolare attraverso la Deposizione nel sepolcro e La morte di Marat.
Della prima opera è esposta una copia molto fedele realizzata da Tommaso De Vivo. L’originale è attualmente conservato ai Musei Vaticani. Fu realizzata dal Merisi tra il 1600 ed il 1604 a Roma. Si tratta di una pala d’altare ad olio di notevoli dimensioni, raffigurante, come rivelato dal titolo, la deposizione di Gesù Cristo nel sepolcro.
Su uno sfondo nero, cifra stilistica del pittore, emergono sei figure. In primo piano, in basso, Cristo morto, inondato di un’intensa luce disvelatrice, con il capo reclinato all’indietro e la bocca dischiusa, con la mano destra esanime segna il numero tre simboleggiante la resurrezione e indica la pietra su cui si fonda la Chiesa. D’impatto sono i vividi dettagli della muscolatura e delle vene che, agevolati dalla grandezza della tela, danno l’impressione di trovarsi di fronte ad un corpo in carne ed ossa.
Ad aumentare il realismo, c’è la figura di Nicodemo (il giudeo che schiodò e depose Gesù), il quale guardando dritto verso l’osservatore contribuisce a creare un clima di empatia. Per di più, in lui, si scorgono i tratti somatici dell’artista stesso che sembra si sia voluto includere nel quadro, secondo una pratica usuale.
Dall’altro lato a sostenere il corpo c’è Giovanni apostolo ripiegato su di lui con compassione e dolore. Ma la tensione drammatica cresce di personaggio in personaggio. Seguono nel piano le tre Marie: la madre protesa verso il figlio incredula e corrucciata dalla sofferenza, la Maddalena piangente e, infine, come a spezzare il nero silenzio degli altri, Maria di Cleofa sembra urlare straziata con le braccia e gli occhi imploranti il cielo.
Cosa c’entra la religiosa Deposizione nel sepolcro con la politica Morte di Marat? Basta dare uno sguardo più attento per capire dove sono le somiglianze.
David con questo dipinto ha voluto omaggiare il suo amico Jean-Paul Marat, giornalista e giacobino durante gli anni rivoluzionari, ucciso da una fanatica rivale girondina. La donna con una falsa lettera di supplica si fece ricevere da lui, uccidendolo a tradimento mentre stava facendo dei bagni per alleviare una malattia della pelle. La Convenzione dei giacobini affidò al pittore l’incarico di dipingere realisticamente l’accaduto, sulla cui scena del delitto egli si era recato personalmente. Marat sarebbe diventato un eroe e martire della Rivoluzione.
L’artista ha costruito una scena sobria ed essenziale che mettesse in risalto il protagonista e il suo stile di vita integerrimo. Risaltano i pochi elementi non casuali: la lettera fasulla firmata dall’assassina e la somma di denaro a lei destinata. Lo sfondo piatto e buio rappresenta la cupezza della morte e contrasta con il corpo illuminato in primo piano che appare nella sua aureola sacrale. Se osservate le immagini e ci riflettete, dovrebbe venirvi spontaneo il paragone con il Merisi nell’utilizzo di luci, ombre e volumi.
Il collegamento tra le due opere non si ferma qui. David ha paragonato la morte di Marat a quella di Cristo e, nel farlo, si è ispirato anche alla Deposizione. È evidente nella posa: il capo clino, il braccio destro penzolante, la ferita al costato e la solennità e l’espressione di rassegnata accettazione della morte, quasi preludio di un destino superiore.
Si segnala che l’esemplare presente a Zevallos proviene dal museo di Reims ed è una delle quattro copie realizzate dagli allievi sotto la sua diretta direzione.
Per gli altri dipinti che allacciano David al nostro orgoglio italiano, si rimanda alla mostra o non ci sarebbe gusto! Leggere la descrizione di un’opera d’arte non è equiparabile a contemplarla con i propri occhi.
Merita un accenno il sopracitato Martirio di Sant’Orsola… attenti ad ammirarlo troppo a lungo: si rischia una crisi estatica! Colpisce la cruda semplicità con cui viene reso il picco drammatico della vicenda. Ancora un soggetto religioso, ancora una vittima innocente che serenamente accoglie la propria fine. Come nella Deposizione compare il pittore stesso dietro alla santa, compartecipe della sua sofferenza. Immancabile il gioco di luci che irradia i particolari simbolici: l’armatura del carnefice Attila, il busto ferito della martire e il volto di Caravaggio, emergenti sul classico sfondo scuro.
Insomma, l’impronta stilistica del grande maestro è stata sempre netta e caratteristica, imponendosi e segnando generazioni di artisti. Tutto sta alla nostra sensibilità, a qualcuno potrebbe anche non piacere questo tipo di arte (non fatevi avanti, blasfemi!), ma è innegabile che Caravaggio abbia segnato una svolta epocale e che con il suo realismo, la vividezza e l’umanità dei suoi personaggi (persino di quelli divini), smuova corde nascoste dell’animo… ed è subito sindrome di Stendhal!
Giusy D’Elia
Vedi anche: Caravaggio tra paradosso e scandalo: la prima versione di “San Matteo e l’angelo”