Martin Luther King e il sogno americano
“Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità.”
Dichiarazione di Indipendenza americana, 4 luglio 1776.
Dalle convinzioni che animano questo documento, dalle idee liberali e illuministe che lo hanno ispirato, dalle promesse di uguaglianza e libertà fatte dai padri costituenti ad un popolo americano che di lì a poco avrebbe affermato la sua identità e la sua indipendenza, parte la lotta di Martin Luther King a difesa e affermazione dei diritti lacerati, sviliti, mutilati e negati ai neri statunitensi.
Martin Luther King, pastore protestante, uomo politico, attivista e leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, nel famoso discorso al termine della marcia di protesta di Washington nell’agosto del 1963, considera gli impegni presi dai padri costituenti come una sorta di assegno, un pagherò che la comunità afroamericana esige di riscuotere dopo secoli di persecuzioni, ingiustizie, vessazioni subite.
Michael King Jr., ribattezzato dal padre, reverendo afro-irlandese, come Martin Luther King in onore del riformatore tedesco Martin Lutero, nasce ad Atlanta nel 1929. Dopo la laurea in teologia e la scelta di seguire le orme del padre diventando reverendo battista, a venticinque anni Martin Luther King Jr. diventa il pastore in una delle realtà cittadine del profondo sud americano più dura per la comunità nera. Diventa membro del NAACP (National Association for the Advancement of Colored People) e poi vicepresidente del Consiglio dell’Alabama per i rapporti umani.
La lotta di Martin Luther King alle discriminazioni razziali, alle segregazioni e alle ripetute violazioni dei diritti delle comunità nere americane ha inizio con il caso Rosa Parks, la donna, membro del NAACP, processata e condannata al pagamento di una multa per non aver ceduto il post in un bus a passeggeri di pelle bianca. A partire dall’ennesimo e conclamato abuso della comunità bianca ha inizio la sua lotta non violenta: Martin Luther King, infatti, si inserisce nel solco della protesta pacifica e non violenta tracciato da Ghandi, suo riferimento politico e morale.
La lotta per l’affermazione dei diritti degli afroamericani fu condotta a colpi di boicottaggi, proteste, sit-in, azioni di disturbo e disobbedienza civile: la lotta non violenta coinvolse un numero inaspettato di persone e guadagnò il sostegno di paesi stranieri come Giappone e Svizzera, ma suscitò allo stesso tempo l’indignazione e il malcontento degli attivisti razzisti bianchi e l’odio più spietato del Ku Klux Klan. Martin Luther King e i suoi compagni di lotta, Nixon e Abernathy, furono più volte arrestati, processati e condannati per le più svariate colpe, e furono oggetto di violenti attacchi e attentati che li misero più volte in pericolo di vita.
Nel 1957 Martin Luther King diventa leader del SCLC (Congresso dei leader cristiani degli stati del Sud), che guiderà fino al suo assassinio 11 anni più tardi. Negli anni ’60 arriva la collaborazione di King con Kennedy, ormai pronto a sposare la causa afroamericana. Con il presidente J. F. Kennedy, King presenterà al Congresso provvedimento che sancisce i pari diritti per bianchi e neri d’America, provvedimento fortemente osteggiato dagli stati del Sud. Il 28 agosto del ’63, King, insieme a molti altri leader delle principali organizzazioni per la lotta per i diritti civili dei neri, guida verso Washington la “marcia per il lavoro e la libertà“ al termine della quale tenne il discorso “I have a dream”, che diventerà simbolo e testo programmatico della lotta all’odio razziale. Nel discorso King fissa gli obiettivi e le misure della sua lotta: il sogno americano dovrà essere il sogno di ogni cittadino americano e per ottenere ciò ogni cittadino americano dovrà combattere, senza mai scendere a compromessi con la propria dignità.
E’ un sogno profondamente radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni: noi riteniamo ovvia questa verità, che tutti gli uomini sono creati uguali.
Il ’64 è l’anno del Nobel per la pace, dell’incontro con Malcom X, attivista afroamericano portatore di un alinea aggressiva, e della proposta, rigettata dal presidente Johnson perché troppo avanguardista, di estendere il voto agli afroamericani: solo nel ’65 Johnson presenterà il Voting Rights Act, la legge sul diritto al voto.
Il 4 aprile del 1968, Martin Luther King giunse a Memphis per una manifestazione: qui, raggiunto da un proiettile di precisione alla testa sul balcone di un motel, troverà la morte. La salma oggi riposa nel Southview Cemetery, in Jonesboro Road, ad Atlanta.
Rileggere oggi il discorso del ’63 ci mette difronte ad un triste ma evidente dato di fatto: l’America, che pure sente forte il senso di colpa e la vergogna per un passato di segregazione e discriminazione raziale, non ha ancora saputo far tesoro del sacrificio di Martin Luther King e dei suoi compagni di battaglia. Dietro una facciata fatta di garantismo e una copiosa produzione cinematografica che tenta di fare ammenda dei propri peccati si cela ancora il volto ipocrita di un’America bianca, l’America più ignorante e retrograda, che ancora non concepisce il sogno americano come il sogno di ogni americano.
Valentina Siano
Illustrazione di Sonia Giampaolo