Ebru Timtik: l’inesistente giustizia turca e i suoi oppositori
Ebru Timtik, avvocatessa e attivista turca impegnata nella difesa dei diritti umani, moriva a soli 42 anni, lo scorso 27 agosto in un ospedale di Istanbul.
Rinchiusa nel carcere di massima sicurezza di Silivri, detto anche il carcere dei giornalisti, aveva cominciato uno sciopero della fame durato 238 giorni arrivando a pesare 30 kg per protestare contro la sua ingiusta reclusione e per ottenere un equo processo.
Era stata condannata dal governo di Erdogan a scontare la pena di 13 anni e sei mesi di reclusione con l’accusa di far parte del Fronte Rivoluzionario di liberazione popolare, il Dhkp-C, considerata dal governo di Ankara un’organizzazione terroristica di estrema sinistra. Accusa questa che è ordinariamente utilizzata per gli oppositori del governo di Erdogan.
La sua determinazione nel sostenere la libertà era evidente nella decisione di difendere quei casi che la dittatura del presidente Erdogan considerava pericolosi per la propria esistenza, casi in cui queste libertà fondamentali erano chiaramente violate. Ricordiamo per esempio il processo in cui era impegnata nella difesa della famiglia di Berkin Elvan, adolescente morto per le ferite riportate in una manifestazione contro il governo e nel caso dell’attivista per i diritti umani Engin Ceber, morta per tortura nella centrale della polizia.
La Timtik arrestata nel 2017 insieme ad altri 17 suoi colleghi, tutti impegnati nella difesa di casi scomodi per il governo turco, facenti parte dell’associazione avvocati progressisti Cagdas Hukukcular Dernegi, nel marzo 2019 fu riconosciuta colpevole e condannata.
Il processo farsa a cui era stata sottoposta é emblematico della situazione in cui la giustizia turca versa con totale mancanza di imparzialità e continue irregolarità nei processi.
Giudicata una prima volta non colpevole e assolta dal reato di terrorismo fu scarcerata ma dopo poco riportata in carcere e costretta a subire un nuovo processo.
I giudici precedenti erano stati destituiti e sostituiti con altri, evidentemente più vicini al regime, che hanno condannato Ebru Timtik e altri sui colleghi basandosi su prove inesistenti, accettando testimonianze anonime e senza la presenza di un contraddittorio.
Prassi consueta che si verifica nei tribunali turchi da qualche anno a questa parte è paragonare gli avvocati ai loro clienti e accusarli poi in un secondo momento di crimini simili, utilizzando il subdolo pretesto come accusa che se difendi un nemico del governo sei a tua volta un nemico del governo.
Nel gennaio 2020 Ebru Timtik inseme ad un suo collega Aytac Unsal, condannato a 10 anni e sei mesi di reclusione, hanno cominciato uno sciopero della fame per mantenere viva l’attenzione sul loro caso e chiedere un nuovo giusto processo.
Purtroppo la Timtik non è riuscita ad ottenere ciò che chiedeva, essendo troppo debilitata la morte è arrivata prima dell’accettazione da parte delle autorità di un nuovo processo. Aytac Until anche lui in gravi condizioni fisiche è stato scarcerato e ricoverato d’urgenza una settimana dopo la morte di Ebru Timtik.
Dal 2016 in Turchia sono 1500 gli avvocati che hanno subito minacce e pressioni, 600 sono stati arrestati, 345 condannati con pene pesanti.
Dopo il fallito presunto colpo di stato ai danni del presidente Erdogan, il governo ha colto a volo l’occasione per varare una serie di norme sempre più restrittive ed ha progressivamente incarcerato gran parte dei suoi oppositori.
Tutte le associazioni internazionali in difesa dei diritti umani denunciano da anni ormai a gran voce quello che sta accadendo ed infatti Amnesty International si è espressa chiaramente definendo le condanne: “una parodia della giustizia basata su un processo politicamente motivato”.
La maggior parte dei paesi fa finta però di non vedere e non sentire ed Erdogan continua come un moderno sultano a comandare indisturbato, mentre le carceri strabordano di giornalisti e avvocati incriminati perché hanno svolto il loro dovere e hanno tenuto fede ai principi della loro professione urlando contro l’oppressione.
Per questo ricordiamo le tante Ebru Timtik e i tanti Aytac Unsal che continuano a lottare e morire per essere liberi e non doversi piegare.
Beatrice Gargiulo
Illustrazione di Simone Passaro
Vedi anche Stefano Cucchi e la giustizia