I campi dello Xinjiang: rieducazione o genocidio?
A quanto pare tutto ciò che abbiamo letto e studiato non basta.
A quanto pare il destino degli uomini che sfortunatamente si imbattono in un governo malsano è tuttora segnato.
I campi dello Xinjiang in Cina non sono altro che la prova schiacciante dell’indifferenza globale nei confronti di crimini contro l’umanità che vengono commessi ancora oggi.
Ci troviamo in Cina. Nella regione dello Xinjiang. Un territorio che da sempre intrattiene rapporti problematici con il governo cinese. Qui infatti risiede la popolazione degli Uiguri, una minoranza etnica musulmana e turcofona.
Il conflitto con la Repubblica Popolare Cinese nasce proprio in virtù dell’inevitabile peculiarità di questa etnia, e quindi della ricerca che va avanti ormai da anni di una sorta di indipendenza.
Ma a quanto pare i conflitti non si risolvono democraticamente.
Proprio come narrava Orwell in 1984, profetico, un governo, quando non è soddisfatto dell’indipendenza del suo popolo, può sempre attuare una massificazione. Nessuno deve essere in grado di pensare diversamente, nessuno deve essere in grado di professare diversamente.
E torniamo in Cina. I piani di Orwell non erano poi così distopici.
Il governo cinese, per fronteggiare la sete di indipendenza degli Uiguri, ha costruito dei veri e propri campi di lavoro, chiamati “campi di rieducazione”.
Cosa avviene in questi luoghi ci viene ancora celato dalla Cina, ma il New York Times è riuscito ad intervistare degli ex detenuti. Rabbrividisco ai racconti: uomini deportati solo per aver letto un verso del Corano ad un funerale, altri per aver indossato magliette con riferimenti alla religione islamica. Una donna è stata arrestata per aver letto dei libri sulla storia degli Uiguri.
La storia si ripete a quanto pare, e non impiega molto a farlo.
Sotto i nostri occhi un nuovo genocidio. Una “repubblica” che nega la libertà di professare liberamente la propria fede religiosa, che nega la libertà di informazione, che insomma mira alla totale omologazione.
La Cina, in risposta all’ONU, ha definito questi luoghi “centri di istruzione vocazionale e di addestramento al lavoro.”
Dei centri di addestramento in cui gli uomini vengono minacciati con armi, in cui sono costretti a recitare l’inno cinese a memoria ogni giorno a furia di sevizie fisiche, in cui sono sottoposti a lavaggio del cervello, in cui perdono la vita.
E perdonatemi, mi ripeterò nello scrivere che “la storia si ripete”, ma temo di doverlo fare.
L’anno 2020 volge al termine.
Quanti uomini ancora dovranno morire perché si possa professare liberamente la propria fede religiosa? Quanti anni ancora dovranno passare, quanti anniversari, quanti libri, quante interrogazioni di storia, quanti politici, quante targhe commemorative, quanti documentari, quanti diari, quanti sopravvissuti, quante interviste?
Come potremmo mai avere fiducia nel futuro se continueremo a vivere in eterno lo stesso disumanizzante presente?
Ancora nessuna risposta a queste domande.
Angela Guardascione
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