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8/12/1980: il giorno in cui ho ucciso Lennon  

8 dicembre del 1980: John Lennon viene assassinato all’entrata del palazzo Dakota a Central Park, New York.

Ad ucciderlo sono stati 5 colpi di pistola.

La pistola di Mark David Chapman.

Ogni volta che ascolto questa storia penso che non ci sarebbe miglior narratore dell’assassino.

Quindi eccomi, nei suoi panni, a tessere la tela del giorno in cui è morto John Lennon, e con lui, anche un pezzetto di umanità.

Stolti, tutti coloro che affermano che sia sempre stato lui. La verità è che sono sempre stato io. John Lennon? Lui era solo il pretesto, il capro espiatorio della mia infelicità, della rabbia che nutro verso di voi, uomini falsi, che predicate povertà ma vi insudiciate le mani con il denaro appena ne trovate occasione.

John era così. Lo chiamo John perché lo conoscevo, lui mi ha accompagnato sempre. E quella musica, quando insieme ai tre inglesi riempiva le mie giornate da ragazzino.

Ma io lo sapevo che sarebbe finita. La mia infanzia come i Beatles. E allora lui ha iniziato a parlare di pace, di povertà, di comunione di tutti i popoli. Canta, canta Lennon, e riempi i miei vuoti giorni con le tue parole e il pianoforte.

Ma io lo sapevo che sarebbe finita. La mia felicità come John. E allora lui ha cominciato a fare soldi, sempre di più, e si è trasferito a New York City, proprio nella mia terra: gli Stati Uniti d’America. Canta, canta di pace e insozzati le mani con gli sporchi soldi dei poveri sciocchi che continuano ad ascoltare le menzogne che predichi.

Io non potevo più ascoltarlo. Non potevo più essere un puntino inutile nel ricco e affascinante mondo musicato da John Lennon. Questo doveva essere il mio momento di gloria. La fama e il successo, i riflettori. Non meritavo anch’io tutto questo?

Allora sono andato a comprare il suo nuovo disco e l’ho guardato per l’ultima volta. Gli ho stretto la mano. L’uomo che parlava di sogni ora è così schifosamente reale. Quali sogni predicavi, Lennon? La bella vita a New York con Yoko?

Dovevo dirgli addio però, per tutto ciò che è stato per me. Glielo dovevo.

E mi hanno anche fatto una foto, con lui. Giornalisti, sarà la mia faccia che cercherete da oggi in poi, non la sua, perseguiterò le vostre vite e le vostre televisioni. Non vedrete altro che me.

Allora l’ho aspettato. All’ingresso del Dakota Palace, simbolo dei suoi ideali sfumati, di quella proprietà privata che cantava di abolire ma alla fine è diventata la sua quotidianità.

L’ho visto, stava rientrando.

L’ho chiamato: “Ehi Mr. Lennon”.

E lui si è girato. E io ho sparato. Sparato. Sparato. Sparato. Sparato.

Cinque colpi. Quattro nel corpo di John Lennon.

Ho sparato a John Lennon. E sapete cosa ha detto? Le ultime parole di uno dei più grandi cantautori di sempre?

Ha detto: “Mi hanno sparato”.

Non mi ha neanche riconosciuto! No John, non ti hanno sparato. Ti ho sparato io. Mark David Chapman ti ha sparato.

E l’ho detto anche a quel poliziotto. Sono stato io. “Ho sparato a John Lennon”.

E da quel giorno sono diventato Mark David Chapman, l’uomo che ha ucciso John Lennon.

La prigione, l’isolamento, le manette e la cella putrida non sono niente in confronto alla fama. Ora parlano di me.

Ora il mondo sa chi sono.

L’avresti mai immaginato questo, John?

Angela Guardascione

Disegno di Enza Galiano

Vedi anche: The Ballad Of John And Yoko: e se a raccontare fosse Yoko Ono?

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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