Gainsbourg: di tutto e di più
di Luisa Ruggiero
I locali pieni, le luci soffuse, i fiumi d’alcool. “La canzone la riconosci?” Due che si baciano, il fumo di una sigaretta. “La canzone è cambiata”. Gainsbourg, è lì, lo vedi? La sua sagoma sfocata nel panorama musicale sembra acquisire contorni più nitidi dopo aver letto il libro di Boris Battaglia, Gainsbourg. Niente è già tanto. Ma questo niente è davvero niente?
Più di duecento canzoni, un centinaio di album e una cinquantina di artisti citati, questi i numeri del saggio di Boris Battaglia. L’arduo compito che si propone lo scrittore, probabilmente, è quello di comporre una monografia sull’irriverente figura di Lucien Ginsburg, in arte Serge Gainsbourg. Quello che in effetti è il risultato, invece, è una sorta di linea del tempo su cui collocare tutti gli artisti che hanno influito e che sono stati influenzati dall’artista stesso, una consistente dose di curiosi aneddoti, particolari dettagli e piccanti retroscena legati in una narrazione incalzante, un esaustivo compendio sul complicato spaccato della musica contemporanea, su cui l’ambivalente figura del cantautore ha imprescindibilmente influito.
Il libro di Boris Battaglia è una canzone, un motivo in crescendo ed il suo Gainsbourg è proprio come si è sempre autodescritto: “Quand’ero adolescente – dunque un po’ imbecille – fui molto colpito da una frase di Chopin: solo le bestie a sangue freddo hanno il veleno. Io voglio appunto essere una bestia a sangue freddo, sono piuttosto ‘gelante’, gelato, né passionale né generoso. Non sono per niente generoso, sono una spugna che prende, ma che non lascia andare” (Gainsbourg, 1967). Freddo, glaciale, gelante, intriso di cinismo come le sue canzoni, ma non quel cinismo dotto e distante da intellettuale, quale egli in effetti è, il cinismo vero, quello della realtà, anzi quello con cui si indaga la realtà delle cose, quello che serve per decifrare il mondo.
L’autore prende a piene mani da quel genio, la sua ossessione, descrivendo ogni azione dell’artista come un “sabotaggio”. Egli è, paradossalmente “guidato da una sfiducia sempre più tragica nella comunicazione”. Non c’è da stupirsi, dunque, se il suo più grande successo è stato Je t’aime… moi non plus, “la sua voce glaciale, o quella stridula e sfiatata delle sue attrici-cantanti, non fa che ripeterci un’ unica verità: davanti, dietro, dentro o al di sopra della comunicazione non c’è nulla. L’amore fisico è senza uscite, senza speranza, Ti amo, Io nemmeno” spiega l’autore.
Questo libro è un’occasione. Un’occasione per conoscere la musica, la musica per pochi, di nicchia, la musica impegnata, tanto per intenderci l’autore cita Bach e Mozart, Stravinskij e Schönberg, ma non solo perché Battaglia si fa strenuo sostenitore, poiché amatore, delle “canzonette”: “Boris Vian (…) sosteneva, nell’illuminante pamphlet En avant la zizique, che la canzonetta, nella sua forma classica, è indispensabile al conferimento dello statuto di verità alla vita umana. Questo è decisamente vero. La vita umana è estremamente relativa e le canzonette – oggetti musicali di volatile rarefazione: durano giusto un’estate – sono lo strumento più consono a raccontare questa sua relatività.”
Protagonista indiscussa del libro è la musica, in tutte le sue forme, ma ad un occhio attento non sfuggirà la “monomania” dell’autore per la voce, la parola, il linguaggio. La personale interpretazione delle vibrazioni dell’aria che compongono le canzoni e le canzonette, le melodie, piuttosto che le sinfonie rendono la musica unica e al contempo condivisibile, il potere della comunicazione della musica è indiscusso e indiscutibile: “(…) La musica, concludeva poi Berio, è una macchina per creare discorsi. I discorsi più interessanti del e sul nostro tempo creati dalla macchina musica sono, senza dubbio alcuno, le canzoni.”
L’espressione musicale è una delle illusioni della vita forse la più bella bugia a cui ci sottoponiamo: “Le canzoni sono un inganno che serve a renderci la vita sopportabile”, afferma Battaglia, il quale ci lascia un inciso chiaro, di disarmante freddezza, alla Gainsbourg, per intenderci: “Nonostante l’unica compagna della nostra vita che non ci lasci mai sia la morte. Non c’è nessun senso nel cercare di sfuggirla, perché non c’è alcuna possibilità di riuscirci. Nonostante tutte quelle piccole cose preziose che chiamiamo sentimenti, e che affastelliamo attorno a noi per autoconvincerci del contrario, facendoci cullare in questa convinzione da canzonette dozzinali.”