The Ballad Of John And Yoko: e se a raccontare fosse Yoko Ono?
9 ottobre 1940. Oggi il nostro caro John Lennon, star dei Beatles e leggenda del rock, avrebbe compiuto ottant’anni.
La figura di Lennon non può che essere accostata a quella di una delle sue mogli, Yoko Ono, sicuramente uno dei matrimoni più iconici e discussi (spesso anche negativamente) della storia.
“Non avevo mai conosciuto una donna per cui valesse la pena mandare all’aria il mio felice matrimonio di noia. Ed eccola lì, una meravigliosa via di fuga”. Confessava Lennon in una delle tante interviste rilasciate.
Così mi sono chiesta, perché non leggere questa storia dal punto di vista di Yoko?
Il mio John aveva una strana fissazione per il numero 9, se ora parlaste con lui vi direbbe che ci siamo conosciuti il 9 novembre.
Ma vi assicuro che era il 7 novembre, alla Galleria Indica a Londra, mentre la solita pioggerella sottile batteva sulle eleganti vetrate inglesi.
Mi volto, un uomo alto e magro scruta le mie opere. Non riesco a vedergli bene il volto. È asciutto nei suoi pantaloni marrone tabacco, la sua barba mi ricorda quella dei ricchi imprenditori inglesi che ho incontrato in questi giorni qui a Londra.
Non sopporterei di incontrare un altro imprenditore adesso.
La mostra sta volgendo al termine, Kyoko mi starà di sicuro aspettando a casa per la buonanotte.
Dunbar, che si è occupato dell’allestimento della mia mostra, mi strappa via dai miei pensieri. L’uomo di cui vi parlavo prima adesso è davanti a me, ha uno sguardo buffo. Non ho idea di chi sia, ma è estremamente attraente.
Inizia a chiedermi della mostra, io decido di dargli un biglietto “respira”, l’uomo ripete lentamente le parole che avevo scritto, le lettere nere sbavate leggermente dal sudore della mia mano ansiosa. «Respira nel senso di esala? ». Accenno una risata. Mi piace il suo umorismo e mi piace che stia flirtando con me. Forse ho ridacchiato troppo, gli inglesi non mi stanno poi neanche tanto simpatici… Aspetta, dov’è andato?
Noto che l’uomo si è allontanato, è diretto verso l’installazione della mela verde con il cartellino con scritto “200 sterline”. Non credo a cosa abbia appena fatto. Ha osato dare un morso alla mela, un morso alla mia opera! Come ha osato? È un gesto disgustoso. Sciocco di un inglese.
Deve essersi reso contro del mio sguardo fumante e mette giù la mela (tanto ormai l’aveva già mangiata…). Punta un’altra opera, è proprio come un bambino in un luna park. Mi avvicino piuttosto irritata. Lui mi guarda e con fare giocoso legge l’insegna della nuova opera “PIANTATECI DENTRO UN CHIODO” e mi chiede supplichevole «posso piantare un chiodo?». Gli rispondo di no, la mostra sarebbe rimasta inattiva fino al giorno dopo, chi si crede di essere?
Mentre i due confabulano, decido di sfidare l’inglese milionario: «Ok, lo puoi piantare per cinque scellini», lui mi dà una risposta che mi spiazza: «Va bene, ti dò cinque scellini immaginari e pianto un chiodo immaginario». In quell’istante stesso è scattato tutto. Io scoppio in una fragorosa risata, i nostri occhi si incontrano, scontrano, non saprei spiegarvelo a parole. Capii da quello sguardo che non era solo l’attraente inglese milionario e sbruffone che pregavo se ne andasse per tornare dalla mia Kyoko. Scoprii successivamente che era il membro di una delle band più famose in Inghilterra, osannato da teenager e fan sfegatati.
Qualcosa di affine.
Londra.
Ennesima mostra, ennesima serata separata dalla piccola Kyoto. Ma era quello il momento giusto per mostrare al mondo la mia arte. Pensavo.
Incontrai di nuovo John, e un certo Paul, credo sia l’altro tizio della band.
John era però molto diverso rispetto a quella sera all’Indica.
Sembrava un drogato fuori di testa.
Scappò letteralmente da me ed io non capii.
Ok, lo faccio. Agisco d’istinto e mando a John una copia del mio libro di poesie Grapefruit. Spero gli piaccia e non fraintenda. O forse è proprio quello che voglio, che fraintenda? Forse penso solo troppo. E’ solo un libro.
E’ solo un libro… le stesse parole che mi trovo a ripetere qui, in una libreria qualunque di Londra, alla vista un libro contenente gli strani disegni di John. Accarezzo con le mani quei disegni grotteschi, ma simpatici, accarezzo il titolo stampato In His Own Write.
Inizio a pensare che guardiamo il mondo con la stessa lente. Non è solo un inglese con una strana barba e milionario.
Siamo affini.
Lettere, incontri, scontri. Ero diventata amica di John. Ci capivamo con un solo sguardo, bastava una sola parola per scatenare un inferno. Mi stavo innamorando di lui. Del nostro piccolo mondo, delle nostre lettere, delle nostre chiacchierate, delle sigarette condivise, del suo sguardo meravigliato alle mie mostre.
Finché non accade.
Cynthia, la moglie di John è fuori città, mi chiede di raggiungerlo a Kenwood.
Lo faccio, rovescio in borsa le prime cose che trovo e vado da lui. Ascolto le sue melodie più imbarazzanti, registriamo “Two virgins” ridendo come matti, facciamo l’amore all’alba.
Cynthia torna, ci trova lì per terra, distesi e ancora in estasi. Guardo la donna e poi guardo John; non riesco a scorgere neanche un segno di senso di colpa sul suo viso.
8 dicembre 1980
Dakota Building – New York City
Viviamo la nostra vita insieme, giorno dopo giorno. Dopo la nascita di Sean, John sembra un altro. Non è stato sempre facile, né trasparente, sarei meschina nei confronti dell’intero mondo a dirlo.
Ma oggi siamo qui, la mia testa sulla sua spalla. Sean che gioca ai nostri piedi.
John dice che gli ho insegnato tutto, ma io credo che l’amore comporti sempre uno scambio. Sessuale, spirituale, di idee.
Scambio che ci viene brutalmente strappato.
Sangue. Vedo soltanto sangue.
I medici cercano di parlarmi, io guardo gli altoparlanti dell’ospedale; risuona in tutto l’edificio, che sembra un grosso gigante bianco, All my loving.
«Signora Ono, mi sente? Suo marito non ce l’ha fatta»
“Close your eyes and I’ll kiss you, tomorrow I’ll miss you”
«Signora Ono?»
Catia Bufano
Illustrazione di Francesco Siliberto
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