A cosa stai pensando?
È la prima volta che apri un computer.
La brillante iridescenza della tecnologia riempie la stanza.
Ti iscrivi ad un social network e, per la prima volta, scrivi un messaggio che potranno leggere tutti i tuoi contatti. Premi su “invia” ed è lì, per tutti lo stesso messaggio, nello stesso momento.
Come ti senti?
Sono passati tanti anni. È cambiato tutto. È più facile, più veloce, più diffuso. Ora, nel preciso istante in cui posti qualcosa online, ci sei anche tu con gli altri. Sei parte di quel controverso fantastico sistema.
Inizia un irreversibile giro di condivisioni. Questo atto che sembrerebbe un naturale ed ingenuo gesto, ti fa perdere qualcosa, ti fa perdere un po’ di te.
Quel qualcosa che, fino a due minuti prima, era solo nella tua testa, diventa di tutti. La tua interpretazione non è più unica, ma si riempie del modo di vedere di tutti gli altri. Ed è bello, quanto fastidioso, arrogante, cattivo. È lo sguardo critico di tutti e, nel momento in cui schiacci su “pubblica”, smetti di essere solo tuo, forse non sei neanche più tu. Inizia un giro immediato, veloce e feroce.
Il mondo ti guarda, e il suo occhio è diverso: ti scruta, ti fulmina, ti annienta e ti cambia. Spesso ti senti perfino sbagliato. Quell’occhio potrebbe avere ragione, allora lasci che ti guardi, che ti ferisca. E non ne sei consapevole, ma ti trasformi, ti prostri a quello che sembra giusto per gli altri. Non è colpa tua.
Sei travolto dalla frenesia di una tecnologia che avanza e, senza chiederti il permesso, ti spintona e prende il posto della tua realtà, rubandoti i pensieri.
Sei stravolto, perché quando apri un social, spegni la mente, spegni un po’ te.
Cerchi di immedesimarti nelle idee altrui, per guardare da un’altra prospettiva, girare la testa e cambiare angolazione. Qualcuno dice che è assolutamente normale volersi distrarre, che male c’è?
Cerchi una scappatoia, una via di fuga, dal mondo normale o da quello strano?
Entri nel giro, perché tanto non sei solo, ce ne sono tanti come te. Chi non è come te è il diverso, l’atipico. Tu no, sei normale, come tutti gli altri. Hai Instagram, conosci tutte le tecniche di approccio online, sai cosa sono i “like tattici”. Non sei fuori dal mondo.
Eppure lo sei. Sei, in modo irrecuperabile, fuori dalla concretezza.
Ma è solo uno svagarsi oppure è perdersi?
E quanto hai perso, quanto ti sei perso in tutti questi anni?
Hai vagato, forse talmente tanto, che hai iniziato a vagabondare senza meta, a smarrirti e, quasi, svanire.
Hai girato talmente tante volte l’angolo per vedere altro, per non restare fisso su un solo punto, girarti attorno, guardare il resto, che sei finito per perderti comunque qualcosa, forse essenzialmente tutto.
Sembra di esserci ancora, però. Come? Se osservi, solo un’occhiata veloce, nulla che possa portarti via la tua meccanica, incontrollata sete di ricerca online, noterai che tutti ci sono, così come te. Non ti stai perdendo niente che gli altri invece abbiano; siete sulla stessa barca. Tutti alla ricerca della stessa notizia.
Ci sei, sei nel giro. Non sei l’unico, non sei solo.
Quello che sembra qualcosa, però, non c’è fuori. allora non ci sei neanche tu. Sei solo, completamente fuori da tutto.
Non spegni la luce del cellulare, perché quella reale è accecante, ti risveglierebbe, e tu vuoi continuare a sognare. È più semplice dormire, lasciarsi traportare e far finta che il tuo essere stia bene, pensando che il tuo io, represso, imprigionato in un te ormai quasi morto, stia meglio così.
Sei come nel mito della caverna di Platone.
Poi un giorno, il cellulare è scarico, non si accende subito e tu sei lì ad aspettare che quella luce folgorante ti spazzi via l’anima. La senti, quell’anima; è un bussare, un forte grido di aiuto interiore colpito da un senso di vuoto, una perdita che ti si scaraventa addosso, che sta immobile, perché ha perso la fluidità nei movimenti.
Stai per capirlo. Non è così difficile intuirlo, quando, nel profondo, lo avevi sempre saputo.
Era lì, è sempre stato lì.
Si accende il cellulare, sparisce tutto. Non senti più niente.
Didascalia di Antonia Di Leva
Foto di Roberto Filippini
Vedi anche: La furia del domani – Foto di Roberto Filippini