Un Lucio Battisti bucolico contro il capitalismo
Chi pensa che Battisti fosse solo un cantante di canzonette d’amore si sbaglia.
Sotto quei ricci arruffati, il ragazzo di Poggio Bustone si fa portavoce della critica al capitalismo e al consumismo.
Oggi, a ventidue anni dalla morte, cerchiamo di capire perché.
Il 9 settembre del 1998 era un mercoledì. Un mercoledì sicuramente nebbioso e grigio all’ospedale San Paolo di Milano, dove con la stessa riservatezza di sempre Lucio Battisti, a 55 anni, abbandonava un mondo che ambivalentemente aveva amato e odiato allo stesso modo. Erano le 7:50 e i telegiornali di tutta Italia annunciavano la scomparsa di un’artista che aveva segnato vigorosamente il mondo della musica.
A ventidue anni da quella grigia mattina, la memoria di Battisti è riuscita a sopravvivere intatta per generazioni. Data la costante e coerente riservatezza della sua persona, quello che rimane è un autore di canzonette apparentemente banali, all’interno delle quali si cela un sentimento profondo chiamato a volte libertà e altre amore.
Quando per la prima volta apparve in televisione con il volto quasi imberbe, i capelli ricci e le labbra infantili, Lucio Battisti non era pronto ad affrontare il mondo della commercializzazione della musica, con il quale, con distaccato disprezzo, costruì un rapporto difficile e sfiancante durante quasi trent’anni di carriera.
Il cantautore non si riteneva un cantante nel senso comune della parola, bensì interprete di canzoni adatte alla sua di personalità. Cantare era il suo modo di dire le cose, lanciando una sfida alla grande madre delle comunicazioni, la televisione, dalla quale prenderà sempre di più le distanze.
“Devo distruggere l’immagine squallida e consumistica che mi hanno cucito addosso. Non parlerò mai più, perché un artista deve comunicare solo per mezzo del suo lavoro. L’artista non esiste. Esiste la sua arte”.
L’immagine dipinta dai critici si scostava di gran lunga rispetto a quello che si intravedeva come un velo sottile tra le righe, gli arpeggi, le sonorità e i testi delle sue canzoni.
Fondatamente noi conosciamo il Battisti portavoce di emozioni profonde legate all’amore e ai sentimenti più intimi. In realtà, vi è una parte di produzione che si impegna nella critica alla società a lui contemporanea, al capitalismo, al consumismo, alla mercificazione del corpo della donna, alla politica. Proprio il tema della politica tocca Battisti in prima persona, in quanto vittima di calunnie da parte della critica.
Era il 1970 e un funzionario del PCI invitò Battisti, come altri artisti, ad esibirsi alla Festa dell’Unità a Roma. Il cantautore non aveva intenzione di esibirsi su un grande palco, tanto meno se di partito. Fu a causa di questo rifiuto che nacque la “leggenda del Battisti fascista”. Il verso “planando sopra boschi di braccia tese” della Collina dei ciliegi venne citato come l’evocazione al saluto fascista, stesso destino toccato a “o mare nero, mare nero” della Canzone del sole.
Chiaramente non occorre dire che lui negò, come negò anche Mogol, autore dei testi. Più volte Battisti ha dichiarato il suo disinteresse per la politica, come quella volta che nel 1970 durante la trasmissione “Speciale per voi”, in cui un ragazzo si levò tra il pubblico per criticarlo, poiché colpevole, a suo avviso, di parlare semplicemente d’amore, tralasciando la lotta politica, dichiarò:
“Ma che impegnato, io sono disimpegnato. Disi-tutto. Tranquillo proprio”.
L’unico impegno di Battisti era la musica, attraverso la quale esprimeva uno spirito ambientalista e una lotta al radicalismo clericale, come nell’inciso Il nostro caro angelo del 1973 scritto con Mogol:
La fossa del leone
è ancora realtà
uscirne è impossibile per noi
è uno slogan falsità
Secondo le parole dell’autore che si dichiara credente, aggiunge che non accetta una Chiesa falsa e ipocrita che continua a riproporre il binomio cristiano-schiavo, attirando i fedeli secondo sentimenti di paura e alienazione. Il nostro caro angelo, che in questo caso rappresenta la fede, l’infinito in ognuno di noi, deve poter esprimersi liberamente, senza essere controllato da una vecchia istituzione:
Paura e alienazione
e non quello che dici tu
le rughe han troppi secoli oramai
truccarle non si può più
Sempre dello stesso album vi è Un canto brasileiro, una canzone contro il mercimonio del corpo delle donne e contro le falsità e le nefandezze della pubblicità:
Io non ti voglio più vedere sul muro
davanti ad un bucato
dove qualcuno ci ha disegnato
pornografia a buon mercato
e ancora:
Col dentifricio pure trasparente
dove ti fanno dire che illumina la mente
e mentre indossi un super super reggiseno
per casalinga tutta veleno
E mentre parli sei una semplice comparsa
vestita da dottore, che brutta farsa!
Ti fanno alimentare l’ignoranza
fingendo di servirsi della scienza!
L’autore è toccato dal fenomeno della mercificazione del corpo femminile, soprattutto in campo pubblicitario. Una dimensione in cui il consumismo lacera le menti e orienta bisogni e desideri. È il ritorno alla natura, ad uno stile di vita sano e genuino che alimenta l’immaginario di Battisti:
Io ti vorrei vedere mentre
cogli l’insalata dell’orto
che vorrei avere coltivato
prima d’essere morto
Ne Le allettanti promesse vi è ancora la critica al sistema capitalista e alla società annebbiata dal consumismo, che fa emergere in risposta uno stile di vita alternativo che possa dare nuovo respiro all’individuo e alla collettività:
Perché tu non vieni insieme a noi
in paese fra la gente insieme a noi
in quella cascina così solo cosa fai
la domenica la messa finalmente sentirai
No non mi va preferisco restare qui
ho la vacca ed il maiale non li posso abbandonar così
pompar l’acqua del canale poco fieno nel fienile troppo da fare
prepararmi da mangiare un’occhiata sempre all’orto
No non voglio entrare in mezzo all’invidia e la perfidia
non voglio stare a duellar fra gelosie sporche dicerie
e bigottume delle dolci e care figlie di Maria
e la politica del curato contro quella della giunta
Anche in Davanti ad un distributore automatico di fiori dell’aeroporto di Bruxelles, anch’io chiuso in una bolla di vetro, titolo inventato da Mogol, è di nuovo presente la “linea verde” sottofondo di un messaggio ecologista. Il consumismo non solo è causa del degrado ambientale, ma è anche fautore della commercializzazione della natura e della sua trasformazione in prodotto, come nel caso dei fiori venduti al suddetto aeroporto, in cui il protagonista si sente anch’esso impacchettato in una “bolla di vetro” e messo in vendita.
Nello stesso anno di uscita dell’album Il nostro caro angelo, la coppia Battisti-Mogol si dirige per un viaggio in Sudamerica attraverso il Brasile dei “Gorillas” e l’Argentina del secondo Peron. L’album, esito dell’esperienza, è Anima Latina. È lo stesso Battisti che ne spiega la genesi:
“Perché America Latina? Perché lì, tra quella gente semplice, tra quei suoi genuini e al tempo stesso pieni di felicità ma anche di denuncia, di realtà, ho ritrovato il mio spirito latino. Con l’anglicismo e l’americanismo che ci hanno coinvolto in questi ultimi anni andavamo perdendo, proprio noi mediterranei più di tutti, lo spirito creativo, la vitalità che ci caratterizzano da sempre e che non sono morti, ma semplicemente addormentati dalla sudditanza alla Amerika, dei frigoriferi e dei consumi”.
Dunque se ancora qualcuno si interrogasse “su come Battisti la pensasse” una parte della sua produzione con Mogol ci chiarisce le idee.
Il ritiro alla vita privata di conseguenza il distacco da quella pubblica, è una scelta mossa da un sentimento di ripudio nei confronti della società. Battisti non è solo un cantante di canzonette d’amore, è anche un artista che ha compreso appieno gli sgarbi del sistema sociale e politico, prendendone le distanze e conducendo uno stile di vita alternativo che possa essere di ispirazione per chi l’ascolta.
Insomma, un Lucio Battisti bucolico contro il capitalismo.
Vedi anche: Lucio Battisti: quanto ne sai di lui?