The Office: perché tutti devono guardare la serie non solo come puro divertimento
The Office è una serie televisiva statunitense creata da Greg Daniels.
Si tratta del remake americano dell’omonima serie cult britannica, ideata e scritta da Ricky Gervais e Stephen Merchant, trasmessa dal 2001 al 2003.
La serie, prodotta dalla Deedle-Dee Productions e dalla Reveille Productions in associazione con la NBC, è andata in onda sulla NBC dal 24 marzo 2005 al 16 maggio 2013, per un totale di nove stagioni e 201 episodi.
Oggi, la potete guardare su Prime video e, vi assicuro, non ve ne pentirete.
La serie racconta le travolgenti vicende quotidiane degli impiegati di un ufficio della Dunder-Mifflin, un’azienda che si occupa di distribuzione della carta. Quest’ultimo è un segnale molto importante, che non va sottovalutato: con il progresso e lo sviluppo delle potenzialità di internet, la Dunder-Mifflin lavora in un settore destinato a diventare sempre più desueto, sorpassato.
Non a caso, per quanto lo spettatore si concentri poco su questo aspetto, è il tema principale e quello più esistenzialista delineato nella serie: parliamo di un’avanzata e tragicomica consapevolezza della propria inutilità.
The Office non è solo divertimento, comicità immediata, satira, poiché la serie vuole essere una critica molto ingegnosa e sottile riguardo le contraddizioni del capitalismo e dell’ambiente aziendale, in cui tutti aspirano ad una prestazione migliore e competitiva. Tutto è rappresentato al contrario, il nemico capitalismo indossa l’abito più informale, con il volto amichevole e innocente.
Ci sono temi molto sociali, a partire dal rispetto delle minoranze di qualsiasi tipo, all’alcolismo e alla voglia di essere meno soli, spesso raccontati in chiave ironica, per poi sfociare in situazioni assurde.
Riguardo al format, The Office nasce come un mockumentary, ovvero un finto documentario. Ciò permette alla serie di non essere classificata come la consueta sit com, evidenziando ancor di più gli aspetti surreali e le situazioni di disagio che sono all’ordine del giorno: risposte fuoriluogo e ricorrenti gag. Tuttavia, questa tecnica narrativa rende i personaggi e la loro comicità di sicuro più realistici, rispetto alla costruita vita di ufficio.
Le interviste a cui sono sottoposti sono molto personali e hanno la capacità di spezzare, almeno per un attimo, il filo della narrazione, quasi come se ci trovassimo dietro le quinte; quasi come se il pubblico fosse parte integrante della serie.
Negli eccessi di The Office lo spettatore ritrova il suo collega imbarazzante, quello incapace, l’egomaniaco e tutte le categorie umane che popolano i posti di lavoro. I personaggi sono maschere e archetipi della società, le quali celano verità latenti.
Ogni aspetto è studiato nei minimi dettagli, ma nella scrittura di The Office c’è spazio anche per la più geniale improvvisazione, rendendo le atmosfere e le situazioni più naturali e realistiche; infatti, molte delle scene di Steve Carrel, ma anche alcune delle uscite del nerd Rainn Wilson, sono il frutto di battute geniali del tutto immediate, improvvisate e fuori dagli schemi.
Partiamo proprio dal personaggio interpretato da Steve Carrel: Michael Scott. Michael è un personaggio monumentale, complesso, un vero e proprio caso umano da studiare. È il regional manager della Dunder-Mifflin, quindi ha una posizione per lo più amministrativa, non molto rilevante.
Trascorre le sue giornate ad oziare, in effetti è un procrastinatore professionista: si rifiuta di fare anche solo il minimo sforzo lavorativo, è sottomesso dall’amministrazione centrale. Si diverte con battute sessiste, razziste o scherzi pessimi; insomma, non ha idea di come funzioni la vita nel suo concreto, poiché è un sognatore, un bambino nel corpo di un adulto. Non vuole essere il capo cattivo, ma l’amico dei suoi dipendenti, spesso ottenendo scarsi risultati. Michael non conosce limiti e non è capace di riconoscerli, tuttavia lo si ama anche per questo.
Tutti, nel bene o nel male, vorrebbero un Michel Scott nella propria vita: colui che ci diverte, ma ci mostra anche le fragilità più recondite dell’uomo. In lui il percorso di auto-consapevolezza della propria inutilità si scontra con l’impossibilità di una realizzazione: un tragicomico perfetto.
Il personaggio che lotta in maniera tenace contro la rassegnazione e il fallimento è il folle Dwight Schrute, che infatti alla fine della serie riuscirà a ottenere il ruolo di regional manager, prendendo il posto di Michael, che a lungo venera in modo quasi molesto. Anche Pam impara dai fallimenti con semplicità; si perde d’animo, ma riesce sempre a trovare la soluzione adeguata, a risolvere anche le problematiche degli altri.
Ebbene, l’empatia è un altro tema da non sottovalutare, perché tiene in vita un ufficio, o meglio, i legami al suo interno, persino fra i nemici (vedi gli scherzi super riusciti fra Jim e Dwight, i diverbi fra Angela e Philip). Ogni personaggio è ben caratterizzato, senza mai deludere le aspettative e, soprattutto, tutti impariamo da loro. Inoltre, la sfera emotiva, l’amore non possono mancare in una serie ancora così attuale e decisamente maestra di vita, sebbene in modo atipico e assurdo.
L’amore per Michel si realizza solo nel contesto lavorativo, in cui la vita privata diviene quella lavorativa, così come il legame fra Jim e Pam. Anche qui si evince una critica riguardo determinati aspetti sociali del capitalismo, non a caso, quando Michel seguirà la donna della sua vita, si allontanerà dal quel mondo, come se ciò rappresentasse una forma di evasione, la ricerca di una propria utilità in questa vita: la famiglia.
Jim e Pam sono l’amore concreto, quello che nasce guardandosi fra le scrivanie di uffcio; è un amore fatto di complicità, di comicità, di incomprensioni e rotture. Il tempismo sbagliato, i sorrisi, i piccoli gesti alternati da tenerezza e difficoltà sono gli ingredienti per la coppia più bella delle serie tv.
Un amore reale, vissuto in pieno, che ci tiene incollati allo schermo per capire e scoprire l’epopea di una storia d’amore per niente banale, così incredibilmente reale: il loro rapporto è un manuale d’uso per tutti noi.
Non sempre tutto va a gonfie vele, persino con la persona pensata apposta per Pam, ma lo scopo è non abbattersi, non mollare la presa, perché è nella semplicità di un amore, nella semplicità di un luogo sterile come l’ufficio, che possiamo trovare la bellezza delle piccole cose.
Marianna Allocca
Foto copertina da NBC
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