Una notte al museo: bello come il sole, perfetto come il Doriforo
L’ossessionarsi sul proprio aspetto fisico non è solo una prerogativa di noi donne.
Anche i maschietti ne fanno un proprio cruccio, mirando ad un ideale di estetica ben definita.
È un dato oggettivo che ricorre da sempre, sin dall’antichità.
E se parliamo di canone, di un modello da seguire in tal senso, non può che venirci in mente il celeberrimo Doriforo di Policleto.
La statua in marmo presente al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e ritrovata nel XVIII secolo nella palestra Sannitica di Pompei serviva proprio come esempio da seguire per i ginnasti che frequentavano l’ambiente. Un vero e proprio modello con il quale confrontarsi, da tenere sempre davanti agli occhi.
Fra le tante copie dell’originale bronzeo di Policleto, purtroppo andato perduto, questa è considerata una delle più famose a livello internazionale.
Soffermandoci sulle sue particolarità, scopriamo che l’opera era riconosciuta canonica non solo per l’armoniosità delle membra e dei lineamenti del viso, ma soprattutto per essere perfettamente proporzionata e bilanciata.
Il protagonista, rappresentato come un portatore di lancia (da qui il nome Doryphóros), è colto nell’atto di avanzare leggermente, ponendo il peso del suo corpo minuziosamente definito sulla gamba destra, mentre la sinistra è flessa all’indietro. Al contempo, il braccio sinistro, piegandosi, segue la tensione della gamba destra, mentre la spalla destra rilassata , di conseguenza si riallaccia al movimento sciolto della gamba sinistra.
Sembra magari un po’ difficile da comprendere, ma basta osservare l’opera anche solo di sfuggita per notare la perfetta contrapposizione di opposti.
Quest’ultima crea un sistema detto chiasmo (ad X) che conferisce alla scultura una posizione dinamica ma salda al tempo stesso, realizzata ad arte in ogni suo movimento.
Sebbene le fonti sostengano con certezza che il personaggio scolpito sia l’eroe Achille, negli ultimi anni sono sorte nuove teorie non ancora confermate, secondo le quali la scultura vestirebbe i panni di Teseo.
Lo studioso Vincenzo Franciosi, insistendo sulla stranezza dell’uso della mano sinistra per reggere la lancia, ipotizzò che in realtà questa sostenesse uno scudo, mentre nella destra fosse tenuta una spada. Da qui, l’immagine iconica del mitico Teseo.
L’identità del Doriforo è però un dettaglio che non intacca assolutamente il significato, simbolico e fisico, che esso continua a rappresentare tutt’ora.
Si potrebbe quasi fare un paragone con quello che è l’estenuante accanimento della bellezza universale dei nostri giorni, il seguire in maniera perpetua un ideale fisico che però sfocia in un’ossessione ben lontana dalla ricerca dell’armonia e dell’equilibrio, delle quali la scultura si fa portavoce.
C’è da dire che, purtroppo e per fortuna, i canoni cambiano, si modificano ed adattano. E bisognerebbe aggiungere anche che l’eccessiva perfezione, quella un tantino artefatta, dopo un po’ diventa stantia. Nulla da togliere ai belli come il sole, per carità.
La butto lì, giusto una mia personale ed opinabilissima chiusa al discorso appena affrontato.
Ilaria Aversa
In copertina, scatti di Raffaele Iorio
Vedi anche: Una notte al museo: la monumentalità trionfante dell’Ercole Farnese