Il sistema mimetico: la frattura tra l’uomo e la realtà
di Carolina Niglio
Il confine tra realtà e finzione è sempre fragile ai nostri occhi. Quante idee, supposizioni e credenze diverse avete incontrato durante la vostra vita e il vostro studio? La realtà assume sempre, come sappiamo, una forma diversa in base alla prospettiva dalla quale si osserva. Il nostro modo di sopravvivere all’irrisolutezza della questione è detto Sistema mimetico: ci dà, da un lato, modo di colmare la rottura che sentiamo tra noi e la realtà, e dall’altro di sopravvivere alla nostra paura della mortalità. Con grande capacità riassuntiva, Coleridge ci dice in realtà che esistono due principali punti di vista a cui possiamo aggrapparci: «Tutti gli uomini nascono aristotelici o platonici, cioè razionali o irrazionali: le opinioni e le interpretazioni difficilmente interesseranno i primi, i fatti e le dimostrazioni non convinceranno mai i secondi.»
Immaginate dei prigionieri, incatenati, fin dalla nascita, costretti col volto a guardare nel profondo buio di una caverna. Ma, alle loro spalle, c’è un muro ad altezza uomo, sopra cui passa della luce che proietta, nel fondo della caverna, delle ombre. I prigionieri, non avendo conoscenza del mondo esterno, sono convinti che quelle ombre siano la realtà. Quando, poi, uno dei prigionieri riesce a liberarsi e, dunque, a voltarsi, realizzerà che le ombre che aveva sempre visto proiettate erano meno reali delle statuette che vede in quel momento. Una volta sorpassato il muro, ed uscito dalla caverna, sarà accecato dal sole, in prima istanza, e poi finalmente capirà: la realtà non era mai stata l’ombra, o la statuetta, perché si rende conto che esiste una realtà ancora più grande, rappresentata nel mito dal sole, ma che sta per il mondo dell’iperuranio, topos del pensiero platonico.
La poesia, infatti, era considerata in modo negativo da Platone: essa era una semplice imitazione di un’imitazione: la realtà della forma e non della copia, da cui nasciamo, non la raggiungiamo mai durante la nostra vita. Proprio qui, si nota la differenza tra i due pensieri citati: Aristotele era convinto che la poesia, in quanto rappresentazione della realtà che tocchiamo e, per questo, veritiera, era come ogni arte e attività, un’imitazione della natura che produce conoscenza dell’universale. Sia il mito di Platone, che esprime la sua concezione della realtà, sia quella di Aristotele, sono semplicemente degli esempi di sistemi mimetici con cui l’uomo si spiega la sua essenza mortale e cerca di ridurre il divario tra sé e la realtà stessa. Tanti altri esempi si potrebbero fare, come il velo di Maya di Schopenhauer o “La condizione umana” di Magritte.
La continua opposizione fra questi pensieri ci sembra irrisolvibile, e la frattura provata dall’uomo nell’impossibilità di comprendere la realtà così com’è (il famoso noumeno di Kant) si avvicina a un sentimento dell’Assurdo. Questo sentimento può essere ritrovato in tante opere moderne, come in Pirandello, Kafka e Camus: alla base un malinteso causato dalla discrepanza tra singolo e realtà esterna.
Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, è un uomo che vive nella menzogna, ma è introspettivo e si rende conto che l’immagine di sé non è la stessa che gli altri hanno di lui, mentre la Metamorfosi gira intorno all’effetto di straniamento vissuto dal protagonista.
Ma l’autore dell’Assurdo è Camus, il quale pone l’uomo in situazioni marginali, dove il sentimento si presenta con forza maggiore: l’uomo perde totalmente i riferimenti della realtà, la sua esistenza e le sue credenze sembrano abitudini senza senso e questo dubbio si trasforma in una frattura profonda che non si riesce a colmare: assurda, appunto. Il sistema mimetico è stato sconfitto dall’Assurdo che, in modo inaspettato, si insinua nella nostra “normalità”: «Esso può essere fatto risalire all’atto della nascita; in alcune situazioni, il rispondere “niente” a una domanda circa i nostri pensieri, può essere una finta. Ma se questa risposta è sincera, e si presenta quello stato d’animo in cui il vuoto diventa eloquente, in cui la catena dei gesti quotidiani viene interrotta, quello è il primo segno dell’assurdo.»