5 centimeters per second: lo splendore del quotidiano
5 centimeters per second, contro ogni mia speranza, fu riproposto dai cinema italiani un maggio del 2019 da Nexo Digital.
Nonostante lo avessi visto e rivisto da adolescente, corsi in sala: conoscevo a memoria la trama e i dialoghi, ma ho avuto i brividi per tutta la durata del film.
Ciò che mi ha particolarmente emozionata, storia a parte, è stato l’amore per la semplicità del quotidiano, sottolineato frame dopo frame: il ronzio delle luci di strada, il cigolio delle catene di una bicicletta, il rumore sordo della chiusura del banco frigo.
5 centimeters per second è un elogio allo splendore della quotidianità in tutte le sue sfaccettature: le vittorie, ma soprattutto le sconfitte.
5 centimeters per second, traduzione del titolo originale Byosoku go senchimetoru, è l’opera che ha rivelato al mondo il genio di Makoto Shinkai, punta di diamante dell’animazione nipponica. In realtà, Shinkai aveva già lavorato sul suo primo lungometraggio (Kumo no mukō, yakusoku no basho): 5 centimeters, mediometraggio composto da tre corti, resta comunque il titolo con cui il pubblico ha avuto modo di conoscere il nome di un autore che è stato in grado di imporsi a livello internazionale.
Takaki, in tre segmenti che percorrono una storia lunga diversi anni, rivive la sua prima (ed unica) storia d’amore, veicolata dalle costanti dello spazio e del tempo, punti cardine della poetica semplice, eppure espressivamente potente, del regista. Come in Interstellar, il corpus ideologico di Makoto Shinkai mira a contrastare, invano, il peso deterministico di tempo e spazio, ma ne vengono irrimediabilmente travolti, rimanendo vittime dell’utopia di un legame impossibile. Doloroso o felice che sia, il baricentro delle sue opere resta comunque l’amore: è il fulcro dell’universo individuale shinkaiano, è il sentimento assoluto e centralizzante, che travolge tutto, senza compromessi.
Ciò che colpisce notevolmente è l’estetica, la rappresentazione grafica: Shinkai opta sempre per un fotorealismo impressionante, rende ogni fotogramma un minuzioso, splendido dipinto, dalle tipiche dominanti fredde.
La trama di Shinkai non è avvincente: è una storia d’amore semplice, senza risvolti notevoli, eppure lascia incredibilmente sconvolti proprio per questo. Il mondo cinematografico di Shinkai vuole spingere verso una riflessione cruda e senza mezzi termini sulla bellezza scontata della vita di tutti i giorni, fatta di particolari apparentemente irrilevanti. Eppure, anche lo scoppiettio di una stufa della stazione, il battere sordo delle portiere del treno, il ticchettio di una tastiera, scorci di paesaggi rurali come vedute dall’alto dello skyline del centro, sono così dettagliatamente curati da farci capire quanto, effettivamente, siamo sordi e ciechi innanzi alle cose. Tutte le componenti del film, dal sonoro al visivo, come strofe di una poesia visiva, convergono in un unico disegno che è, nel pratico, un inno alla vita. Con la sua inconfondibile delicatezza e la sua inarrestabile potenza evocativa, Shinkai ci ricorda quanto la vita quotidiana sia meravigliosa, e che vada vista, ogni giorno, come la cosa più emozionante che ci possa capitare.
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