It’s Black History Month! La storia afroamericana in un mese (solo uno?)
Febbraio, il mese interamente dedicato alla memoria della diaspora e alla celebrazione della comunità afroamericana negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito.
Una ricorrenza che affonda le radici nel 1915, mezzo secolo dopo l’abolizione della schiavitù con l’entrata in vigore del XIII emendamento.
E che porta il nome di Carter G. Woodson, Abraham Lincoln e Frederick Douglass, eroi di una bruciante pagina storica che ricordare un solo mese su dodici non sarà mai abbastanza.
“It was not a story to pass on”, recita una delle ultime righe di Beloved (1987), indimenticabile romanzo del premio Nobel letterario Toni Morrison dedicato alle sessanta milioni di vite spezzate durante il Middle Passage. “Non era una storia da tralasciare” dice la scrittrice afroamericana (o “da tramandare” perché troppo straziante?), invitando a far risuonare tra le pagine di carta e nelle labirintiche stanze del tempo quelle voci rotte, sperse, messe a tacere dagli orrori della cultura occidentale e dalla sua parola abusiva. E incoraggiando così quel rito doloroso ed essenziale che è la memoria, in modo da restituire un respiro alle troppe storie rimosse, ignorate, sepolte.
Forse era proprio questo che aveva in mente Carter G. Woodson quando fondò l’Association for the Study of Negro Life and History (ASNLH) in quel lontano settembre del 1915: riportare in vita chi non è sopravvissuto in nessuna melodia, nessuna danza, di cui nessuna pagina sa raccontare. Dare un senso al termine “disremember” (unione di ‘dismember’ e ‘remember’), potente neologismo della Morrison che verbalizza la natura paradossalmente distruttiva e allo stesso tempo creatrice del ricordare: una pratica disgregante che riaccende l’antico terrore, un atto traumatico che raccoglie i cocci delle identità violate, smembrate. Ma anche preziosissimo antidoto all’amnesia collettiva, miracolosa cura che sa donare dignità a quei corpi senza nome finiti nell’abisso tra Africa e America nera.
Woodson era una mente brillante, enfant prodige made in Washington D.C. con una laurea all’Università di Chicago e un dottorato ad Harvard (secondo afroamericano della storia a guadagnarsi questo titolo dopo W.E.B. DuBois). Lui che durante il cinquantesimo anniversario dell’emancipazione dalla schiavitù realizzò di voler dare un contribuito ancora più ardito alla sua comunità, di voler scendere a patti con la storia pur di onorare le radici della cultura nera, perché quella generazione d’inizio ventesimo secolo conosceva troppo poco del proprio passato, nulla delle tradizioni sommerse e ricchissime degli avi.
Da qui la fondazione dell’ASNLH, organismo votato alla ricerca e alla divulgazione delle conquiste storiche degli afrodiscendenti, e il Journal of Negro History. Poi è la volta dell’annuncio alla stampa della prima Negro History Week, nel febbraio del 1926, nel mese in cui Abraham Lincoln venne alla luce e in cui scelse di registrare la propria (altrimenti sconosciuta) data di nascita anche Frederick Douglass, ex schiavo rivoluzionario che ha segnato le sorti del paese con la sua surreale parabola di libertà e la potentissima aura della sua oratoria.
La causa di Woodson diventa quindi inarrestabile e ad abbracciarla saranno colleghi e fratelli militanti dispersi su tutto il territorio nazionale, più di venti i libri pubblicati per far viaggiare il suo fiero verbo e tanti sforzi spesi nel tentativo di potenziare questa ricorrenza così densa di lotta politica e passione civile. Perché una battaglia così non la si può mica esaurire nello spazio angusto di una settimana! Dopo l’improvviso attacco di cuore nel 1950, la lotta di Woodson raggiunge l’apice della consapevolezza proprio nel decennio successivo alla sua scomparsa, all’alba dei diritti civili e del movimento Black Power negli anni ’60, quando la dimensione storica di questa crociata identitaria si radica tra i giovanissimi nei college universitari americani. È il fermento dell’epoca a reclamare segnali più eloquenti, una celebrazione che omaggi la Black History nella forma più efficace possibile e in linea con l’agenda del movimento: è così che nel 1976, a cinquant’anni dalla celebrazione della prima Negro History Week, l’ASNLH dichiara ufficialmente la nascita del Black History Month, riconosciuto pubblicamente anche dal Presidente Gerald Ford come occasione per onorare il contributo degli afroamericani, troppo spesso lasciati in ombra, nel forgiare le sorti della grande epica nazionale.
Il tema per quest’anno è “Black Family: Representation, Identity and Diversity”, un’immersione nella storia della diaspora africana e nell’integrazione degli afrodiscendenti nel tessuto culturale statunitense. Molte istituzioni, inclusa l’ASNLH (oggi rinominata Association for the Study of African American Life and History o ASALH) e il National Museum of African American History and Culture, offrono una fitta programmazione di eventi digitali, accessibili così anche a chi festeggia da casa.
La brillante comunità accademica del King’s College di Londra ha stilato un denso calendario di video divulgativi su progetti di ricerca inerenti alla Black History, dalla colonizzazione alla storia dell’Africa atlantica, dall’Afrofuturismo all’abolizionismo, enfatizzando l’urgenza che i docenti esplorino temi come “Black agency”, “systematic racism” e “white privilege” da una prospettiva rigorosamente “Black”.
Apple, per l’occasione, ha lanciato una ricchissima gamma di collezioni e contenuti esclusivi per valorizzare creatori, artisti, business men e developers neri attraverso le piattaforme Apple Store, Apple Books e Apple Podcast. Apple Music, in particolare, onorerà la comunità nera attraverso playlist dedicate ai generi che hanno marchiato a fuoco la cultura pop, spaziando dal jazz al blues, dal soul al gospel, dall’hip hop all’R&B, oltre a lanciare video e saggi curati da black influencers e personaggi dello showbiz come Naomi Campbell e John Legend.
Nel 2016 Obama ha definito questa ricorrenza storica come scintilla di una marcia inarrestabile verso il giorno in cui ogni individuo conoscerà i diritti inalienabili alla “vita, alla libertà e al raggiungimento della felicità”. Morgan Freeman invece, da sempre molto critico nei confronti del Black History Month,ha dichiarato che “La storia dei neri è la storia americana”, e che dedicare ogni energia a questa riflessione dalla portata gigantesca nell’arco di un solo mese ne svilisce automaticamente il valore e deresponsabilizza il singolo da ogni impegno in questa direzione negli altri mesi dell’anno.
Vorrei quindi tornare alla Morrison e ricordare il suo discorso pronunciato durante la cerimonia del Nobel. Prima donna afroamericana della storia a ricevere questa onorificenza, ha parlato di libertà, linguaggio e responsabilità, servendosi della splendida metafora di un uccello racchiuso tra le mani di un gruppo di ragazzini. Tutti noi, secondo lei, dovremmo maneggiare con cura questa creatura alata suscettibile a decadenza e rinascita, tenere sotto controllo il suo stato di salute e garantire un impegno costante per neutralizzare qualsiasi minaccia ne comprometta la sopravvivenza.
Perché la lingua è misura delle nostre vite e dobbiamo ricordarci di averne cura per evitare che la storia si ripeta, tutti i giorni di tutti i mesi dell’anno.
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