Alessitimia – L’incapacità di dar voce ai propri sentimenti
Sulla difficoltà di tradurre in parole qualcosa di intimo, profondo e viscerale come un’emozione potremmo discutere per ore.
A chi non è mai successo di non essere in grado di trovare il termine adatto a descrivere i propri sentimenti?
Ci sono, tuttavia, persone per le quali il riconoscimento e l’esternazione degli stati d’animo risultano problematici al punto di rientrare in una dimensione d’inaccessibilità.
In psicologia questa condizione è denominata “alessitimia”.
A dimostrazione di quanto le parole, pur essendo di natura intrinsecamente limitanti, possano rappresentare un ottimo mezzo conoscitivo ed eloquentemente sintetizzante di concetti complessi, mi piacerebbe partire proprio dall’etimologia di questo termine.
Il termine alessitimia, dal greco, viene coniato dalla combinazione dei termini alpha (= mancanza, privazione), lexis (= parola, frase, discorso) e thymos (= emozione, impulso interno) – letteralmente indica il non avere parole per le emozioni.
Non riuscire a dare un nome ai propri sentimenti non vuol dire assolutamente non provarne affatto: questo è un punto chiave da tenere in considerazione per comprendere l’esperienza di vita dei soggetti alessitimici. La dimensione emotiva non è inesistente, ma semplicemente inaccessibile, una sfera del vissuto che si articola in maniera inusuale, che non riesce ad emergere per imporsi a una coscienza che la reputa inaccettabile.
Nasce così la difficoltà di differenziare e regolare gli affetti, da cui deriva l’incapacità di utilizzare un linguaggio adatto per descrivere i sentimenti provati e di distinguere il vissuto emotivo dalle sensazioni corporee che lo accompagnano.
L’alessitimia non è un disturbo a sé stante, rappresenta un deficit della funzione riflessiva del sé spesso presente in numerosi disturbi, sia fisici (risultato di una somatizzazione dell’affetto) sia psichici.
I disturbi maggiormente correlati alla presenza di tratti alessitimici sono quelli dello spettro ansioso e la depressione maggiore. Le determinanti dell’alessitimia rappresentano, inoltre, una difficoltà nelle cosiddette funzioni metacognitive tipica di alcuni dei disturbi di personalità sistematizzati dal Manuale Diagnostico e Statistico dei disturbi mentali (DSM-5), tra cui la personalità evitante, la personalità dipendente, la personalità ossessivo-compulsiva e la personalità narcisistica.
Il ruolo dell’empatia
Se l’alessitimia indica l’incapacità di dar voce alle proprie emozioni, l’empatia rappresenta, invece, quell’abilità che ci permette di entrare in sintonia non solo con i nostri stati d’animo ma soprattutto con quelli delle altre persone.
Questa competenza emotiva, intra e interpersonale, nasce proprio dall’autoconsapevolezza: un’apertura non giudicante verso la propria dimensione affettiva ci consente di leggere e comprendere con maggiore accuratezza i sentimenti altrui, per provare sulla nostra pelle quell’esperienza unica dell’umano che è la compassione, nella sua accezione migliore, quella di sentire (o, meglio, patire) insieme.
Comprendere come si sente la persona che abbiamo di fronte è fondamentale nell’instaurare un rapporto autentico di partecipazione ai vissuti emozionali tanto nella vita privata quanto in svariate altre situazioni tipiche, ad esempio, della sfera professionale.
Quella verbale è solo una delle tante sfaccettature che assume la comunicazione e sarebbe un errore grossolano considerarla l’unica via attraverso cui possano palesarsi i nostri pensieri e stati d’animo. Rischieremmo, infatti, di sottovalutare il significato e la portata di quegli aspetti paralinguistici come il tono di voce e la velocità dell’eloquio, o ancora i gesti, le espressioni del viso e la postura che accompagnano il parlato e, ancor di più, le pause del discorso e i silenzi.
Il soggetto alessitimico
A partire da queste considerazioni, ci sarà più semplice delineare il profilo di un soggetto alessitimico. Gli alessitimici appaiono caratterizzati da impassibilità, freddezza e distacco. Assumono una postura rigida e le loro espressioni facciali tradiscono la sostanziale piattezza dell’esperienza che essi hanno della dimensione sentimentale, anche in presenza di un’effettiva attivazione fisiologia, coerente con le emozioni provate, che può essere oggettivamente misurata e confrontata con quella di un gruppo di controllo.
I soggetti alessitimici presentano, inoltre, processi immaginativi coartati, una scarsa capacità di pensiero simbolico che spiega il loro essere estremamente razionali. Tendono ad avere espressioni violente di collera o di pianto incontrollato, a compiere azioni compulsive spesso nocive per il loro benessere (fisico ed economico) e, se interrogati sui motivi di tali manifestazioni, sono incapaci di interpretare e di dare spiegazioni agli altri dei loro comportamenti.
Tendono a instaurare relazioni molto intense di forte dipendenza o, nel peggiore dei casi, a isolarsi per le complicazioni che possono sopraggiungere in rapporti in cui l’espressione dei propri sentimenti è un elemento essenziale.
Le genesi dell’alessitimia
Potremmo rintracciare il germe dell’empatia sin dalle primissime esperienze infantili, se pensiamo che sin dal giorno stesso della loro nascita, i neonati sono turbati dal pianto di altri bambini.
Un precursore di questa capacità in via di sviluppo è certamente quello che fu denominato negli anni Venti da Titchener “mimetismo motorio”, in riferimento alla tendenza dei bambini (a partire dal primo anno d’età) all’imitazione fisica della sofferenza altrui, un’immedesimazione che permette loro di provare gli stessi sentimenti del soggetto che stanno imitando, pur riconoscendo il turbamento altrui come esterno e non personale.
Inoltre, sembra che alla base di questi meccanismi ci siano i processi di sintonizzazione (e desintonizzazione) emotiva caratteristici delle prime fasi del rapporto madre-figlio che permettono al bambino di sentirsi compreso e tollerare le angosce.
È qui che vanno ricercate le cause di una compromissione del vissuto emozionale. Non a caso, infatti, la prolungata e sistematica assenza di sintonia degli affetti tra genitori e figli ha un costo enorme in termini emozionali per il bambino. Quando un genitore non riesce ad accogliere e restituire la particolare gamma di emozioni manifestate dall’infante come allegria, rabbia e tristezza, questi eviterà di esprimere tali sentimenti e talvolta anche di provarli.
Così, numerose emozioni basilari cominciano ad offuscarsi nel repertorio emozionale dell’individuo, un processo che viene rinforzato se questi sentimenti continuano ad essere velatamente o apertamente scoraggiati in fase di crescita o in seguito.
Vivere in un contesto familiare dove le emozioni sono mal viste e poco o per nulla ascoltate farà maturare al bambino, all’adolescente e al futuro adulto la convinzione che i sentimenti siano qualcosa da nascondere e imparerà a reprimerli.
Tra le possibili cause dello sviluppo dell’alessitimia troviamo senz’altro anche quello specifico ambiente sociale evolutivo tipico delle civiltà occidentali orientate all’individualismo, che inibisce l’espressione emotiva in favore di capacità legate alla vita pratica e lavorativa, motivo per cui la percentuale maggiore dei soggetti colpiti è di sesso maschile.
Gli uomini si ritrovano spesso a subire il peso delle aspettative riguardo una mascolinità – innalzata a ideale – ormai tossica e di un obsoleto concetto di virilità, rispetto alle donne che sono invece incoraggiate a sviluppare un carattere empatico.
Prospettive terapeutiche
Non esistono dati certi circa le possibilità di trattamento per l’alessitimia. Dalle esperienze cliniche finora raccolte è emerso che in questa situazione gli approcci farmacologici sono per lo più fallimentari. La psicoterapia più efficace sembra essere quella a orientamento cognitivo-comportamentale, individuale o di gruppo.
Il compito del terapeuta è quello di aiutare i pazienti a riconoscere e gestire i propri sentimenti prima ancora di imparare ad esprimerli, tenendo conto delle carenze in tal senso del soggetto alessitimico, sia nella dimensione cognitiva sia in quella interpersonale.
Al di là dell’approccio terapeutico adottato e indipendentemente dalla particolare sintomatologia presentata, ciò che rende ostico l’intervento su questo tipo di pazienti è la scarsa capacità di elaborazione e di mentalizzazione che li caratterizza – siamo in presenza di soggetti difficilmente permeabili al cambiamento.
Le espressioni artistiche si presentano come un’occasione di arricchimento esemplare, sviluppano le nostre capacità di immedesimazione, ci fanno viaggiare oltre i confini della nostra personale individualità per ritrovarci nel contatto con gli altri.
Non sottovalutiamo mai l’impatto delle emozioni – la portata dei sentimenti – perché sono la nostra più intima essenza. Tuteliamo l’arte, la musica e la poesia, balsami per l’anima oltre che sue fedeli testimonianze.
I have said that [Romantic] poetry is the spontaneous overflow of powerful feelings; it takes its origin from emotion recollected in tranquility: the emotion is contemplated till, by a species of reaction, the tranquility gradually disappears, and an emotion, kindred to that which was before the subject of contemplation, is gradually produced, and does itself actually exist in the mind. In this mood successful composition generally begins, and in a mood similar to this it is carried out….
William Wordsworth – Preface to 2nd Edition of Lyrical Ballads
Rebecca Grosso
Disegno di Vincenza Topo
Vedi anche: Étant donnés: l’ultima opera di Duchamp è un gioco di sguardi