Final Destination: la predestinazione della Morte
Sono passati 21 anni da quando Alex Browning decise di non salire sull’aereo che avrebbe dovuto condurre lui e i suoi amici a Parigi, per una gita scolastica.
Ricordate il motivo?
“Nessun incidente. Nessuna coincidenza. Nessuna via di fuga. Non si può ingannare la Morte”.
Su Netflix è da poco approdato il primo capitolo della pentalogia della morte, uscito per la prima volta il 17 marzo del 2000. Diretto da James Wong, Final Destination era destinato a diventare uno dei teen horror più amati e seguiti dal pubblico, tanto da incassare oltre 112 milioni di dollari e tanto da incoraggiare ben cinque seguiti, non così apprezzati dalla critica.
Protagonista del primo capitolo è Alex Browning che, qualche minuto prima del decollo dell’aereo per Parigi, fa un sogno che poi si rivelerà essere una vera e propria premonizione. Quella visione riguarda l’incidente dell’aereo dove si trovano lui e i suoi compagni di scuola.
Quando, svegliandosi molto turbato, si accorge che i dialoghi e le scene sognate, si ripetono esattamente identiche a quelle dell’incubo, in preda all’isterismo, decide di scendere dall’aereo insieme ad alcuni compagni e a un’insegnante. Qualche minuto dopo, coloro che hanno perso il volo 180 a causa di Alex, assistono all’effettiva esplosione dell’aereo con cui erano decollati gli altri amici e gli insegnanti.
Scampati apparentemente alla morte grazie ad Alex, per loro comincia il vero incubo, la persecuzione del cupo mietitore che pian piano falcerà le proprie vittime seguendo quello che sembra essere un vero e proprio schema mortale fatto di incidenti assurdi che diventano sempre più trash con l’avanzare dei capitoli.
Secondo questa saga, la Morte è un’entità viva che ogni tanto prende di mira un gruppo di persone finché non riesce a farle fuori tutte. Si tratta di una sorta di rimando alla dottrina della predestinazione che affonda le sue radici nello stoicismo e più tardi nel Cristianesimo di Paolo di Tarso per poi diventare uno dei fondamenti del Calvinismo. In questo caso, però, a dettare le regole e a scrivere il percorso di ogni singolo non è Dio ma la Morte, quell’ombra che sorvola le scene, lo spiffero che fa drizzare i peli e il silenzio dei pensieri prima del grande schianto.
Originale è la presenza di Tony Todd, interprete di Daniel Robitaill alias Candyman nell’omonimo film horror del 1992, che nella saga di Final Destination appare in tre film interpretando il coroner che spiega il piano della morte e l’eventuale soluzione per sfuggirle. Deus ex machina ma anche quasi raffigurazione della presenza mortale, rimanda un po’ al personaggio di Dick Hallorann di Shining (1980), ricalcando la figura di un uomo con doti sovrannaturali o comunque in contatto con l’oscurità che sembra essere l’unico a conoscenza del piano che si staglia oltre il mondo visibile.
Cazzata o meno, sicuramente Final Destination è entrato di diritto nell’immaginario collettivo e negli incubi di tutti quelli che, “qualche anno fa” erano ancora facilmente impressionabili, immersi nell’avvento del nuovo millennio.
Maria Cristiana Grimaldi
Vedi anche: Cecil Hotel: il misterioso caso dell’albergo della morte