Le manifestazioni femministe e la storia del nostro rumore
Emmeline Pankhurst, era un’attivista che si batteva per il diritto delle donne al voto.
In un celebre discorso disse:
“You have to make more noise than anybody else.
You have to make yourself more obtrusive than anybody else”
Le suffragette, le donne, per essere ascoltate devono fare rumore, devono essere invadenti, più di chiunque altro. Più di qualunque altro uomo.
Nel 1913 Emmeline Pankhurst pronunciava queste parole, che dopo più di 100 anni non perdono il loro valore, ma soprattutto, la loro veridicità.
Sulla scia di questo mantra inconfutabile le suffragette di tutto il mondo hanno preso coscienza della loro forza e determinazione, e si sono unite per esercitare un diritto, quello di manifestare.
E hanno fatto rumore, più di chiunque altro.
Come nell’episodio del Derby di Epsom del 1913, durante il quale la suffragetta Emily Davison morì investita da un cavallo in corsa mentre protestava. Nello stesso anno, in America, si tenne la marcia di Washington: 8mila donne manifestarono, e in molte furono anche aggredite.
La storia della conquista del diritto al voto è insanguinata e ignorata da molti. Dopo ogni protesta, centinaia di donne finivano in prigione. Nonostante ciò, nessuna si arrese. Anche in carcere trovarono il modo di opporsi, di farsi sentire, praticando lo sciopero della fame.
Ma la strada per la parità di genere, anche dopo l’ottenimento del suffragio, era (ed è) ancora lunga. Passavano gli anni e i movimenti femministi si evolvevano, volevano più diritti, libertà sessuale e un ruolo concreto nella società.
Nel 1968 un gruppo di femministe, chiamato New York Radical Women, organizzò la protesta contro Miss America. Durante lo spettacolo di Miss America distribuirono volantini con su scritto No more Miss America, opponendosi alla cerimonia, considerata sessista e anche razzista, perché il concorso era riservato solo alle donne bianche.
Negli anni 70 anche l’Italia ha visto un’ondata nuova e determinante di proteste femministe. Le più importanti sono state le manifestazioni per il diritto all’aborto, in cui migliaia di donne marciavano con cartelli e striscioni e chiedevano Per una maternità libera aborto libero. Altre riguardavano il referendum sul divorzio.
Un percorso che ha portato alla formazione del femminismo moderno, che sfrutta anche la potenza mediatica per lanciare messaggi. Un esempio è il caso #metoo, che, anche se dopo anni, si è concluso con il processo di Harvey Weinstein.
L’impatto e l’efficacia della manifestazione rimane sempre caratteristica ineliminabile del movimento femminista, e con la comunicazione immediata dei media, la quantità di persone che ne prende parte è sempre maggiore. Lo dimostra la Women’s March on Washington del 2017.
E anche in piena pandemia, la negazione di un diritto fondamentale come quello all’aborto, richiede una reazione. È quello che è successo alle donne polacche, che non hanno rinunciato ad opporsi e a protestare per giorni. Alcune richiamando gli abiti del libro di Margaret Atwood Il racconto dell’ancella, altre con cartelli e con la creazione di una pagina, che ogni settimana promuoveva dirette per un libero scambio di idee.
Ed è proprio in ogni marcia, in ogni manifestazione presente e passata, che vedo realizzate le parole di Emmeline Pankhurst: “You have to make more noise than anybody else”.
Anche quando non ci darete voce, noi faremo rumore.
Angela Guardascione
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