Legge dei cent’anni… storia di un abbandono
Storia di un’adozione.
Storia di una legge obsoleta.
La legge 184 del 1983 meglio conosciuta come “la legge dei cent’anni”, che impedisce ad un figlio di conoscere il nome di chi l’ha messo al modo, o meglio, non permette di risalire alle proprie origini fino al compimento del centesimo anno di età.
Questa è la storia di Mario, un uomo di cinquant’anni, che in tenera età fu adottato da una famiglia che ha saputo amarlo e accudirlo con tutto l’affetto che meritava. Tuttavia, il suo rammarico più grande è quello di dover morire senza sapere mai la verità ovvero, senza sapere chi fosse la sua madre biologica.
Salve, come si chiama e qual è la sua storia?
“Mi chiamo Mario Di buono, sono un agente immobiliare e ho 50 anni. Sono stato adottato all’età di un anno, da una famiglia meravigliosa che non mi ha mai fatto mancare nulla. Delle mie origini non so quasi niente, ho scoperto dell’adozione alle elementari perché, come sa, i bambini non hanno peli sulla lingua, mi prendevano in giro chiamandomi figlio della madonna, ed io incuriosito, quando tornai a casa chiesi spiegazioni alla mia famiglia ma che non mi furono date. Sicuramente perché ero ancora troppo piccolo per sapere la verità, il dubbio da quel giorno c’è sempre stato e solo verso i 14 anni ne ebbi la conferma”.
Che reazione ha avuto quando l’ha scoperto?
“Nessuna, perché dentro di me già lo sapevo. Ho vissuto questa cosa senza chiedere mai più spiegazioni, per non creare malumori e rovinare quel bellissimo rapporto che avevo con i miei genitori. Le prime cose che seppi erano che il mio nome di battesimo era Mario Perosini, un nome e cognome affidatomi dalla struttura in cui ero nato. Ho scoperto di essere nato a Roma, il 2 Agosto del 1965 nell’ospedale San Giovanni, all’epoca gestito dalla chiesa, in cui esisteva un reparto chiamato “le celate”, dove vi partorivano, per la maggiore, donne dell’alta borghesia che veniva loro garantito l’anonimato”.
Quando ha cominciato la sua ricerca e perché?
“Ho iniziato la mia ricerca, la quale preferisco chiamare “battaglia”, solo dopo la morte dei miei genitori, all’epoca avevo 33 anni e purtroppo senza risultati perché esiste una legge che me lo impedisce. Una legge chiamata “legge dei cent’anni”, che nega il diritto ai figli abbandonati, in caso di parto fatto in anonimato, di conoscere le circostanze della propria nascita e il nome di chi l’ha masso al mondo, fino al compimento del centesimo anno d’età e che praticamente, non mi permette di risalire alle mie origini. Le pare una cosa normale?”.
No, no di certo. Cosa la spinge a non arrendersi?
“La voglia di sapere il motivo dell’abbondono, di sapere se ho fratelli o sorelle. In questi anni ho partecipato a varie trasmissioni televisive raccontando un po’ la mia storia, ho lanciato molti appelli in vari gruppi sul web, ma purtroppo senza nessun risultato. È una cosa che mi tormenta, un anello mancante che non potrò mai conoscere, ancora oggi, nonostante io abbia una vita felice, un ottimo lavoro, una famiglia con una moglie amorevole e due figlie meravigliose, dento di me c’è sempre quel desiderio costante di conoscere la verità”.
Spero che con quest’articolo, la sua voce possa sentirsi più forte di prima fino ad arrivare a qualcuno che possa aiutarla nel concreto. Concludiamo con un’ultima domanda, vuole lanciare un appello?
“Si! Voglio dire a tutte le persone nella mia situazione di non arrendersi, di restare uniti e continuare questa battaglia. Inoltre, Vorrei ringraziare questa Testata per avermi dedicato questo spazio.
Questa è la Storia di Mario e come lui, tante persone vivono questa realtà, intrappolati in una legge che non riguarda solo figli, ma anche madri. Dove una volta chiesto l’anonimato, non si può più tornare indietro perché essa è irreversibile e irrevocabile. Infatti, è proprio questo il problema. Ovviamente nessuno vuole negare il diritto ad una donna di partorire in anonimato, ma darle la possibilità un domani di poter scegliere d’incontrare suo figlio o dare a quest’ultimo la possibilità di sapere più informazioni”.
Serena Tizzano
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