Pillon e la Lega: la proposta di norma sul filtro automatico al porno su internet
Partiamo dall’idea che la censura non mi è mai piaciuta.
Procediamo con il presupposto che il porno è – a mio parere – una vera e propria forma d’arte.
La mia idea sulla proposta del senatore e avvocato leghista Simone Pillon di convertire il testo del decreto della sicurezza in rete, aggiungendo l’implementazione di un filtro per contenuti inappropriati a scopo protettivo verso i minori – quindi con blocco automatico e preventivo – dovrebbe essere chiara.
Tuttavia, trovo utile approfondire. Perché se di primo colpo la proposta, che non ha ancora incontrato nessuna opposizione e dovrebbe essere approvata dalle Camere entro il 29 giugno per poi entrare in vigore, non sembra avere nulla di particolarmente oscurantista, dobbiamo ripensare al soggetto che l’ha proposta e alle implicite conseguenze economiche e culturali. Non intendo dire che un parental control per i minori non dovrebbe esistere in toto, ma la questione ideologica è complessa e discutibile.
In primis, dobbiamo ripensare e metabolizzare la funzione di personaggi come Pillon all’interno della politica italiana: la Lega si è finora dimostrata pronta a fare passi indietro nel tempo in campi quali l’omofobia, l’inclusione, l’aborto, la parità dei sessi. Le posizioni, a loro vantaggio, sono abbastanza coerenti e coese, il fronte perfettamente unito contro qualsivoglia tipo di evoluzione culturale.
Lo stesso Simone Pillon, da ottimo rappresentante del nostro mondo socioculturale, si è, in un passato non troppo recente, espresso in termini piuttosto bizzarri: abbiamo le teorie complottiste sulla lobby gay in cerca di individui indecisi e fragili da reclutare, o i – comprensibilissimi e affatto indicativi della salute mentale del soggetto – sospetti dietro la teoria dell’identità di genere; ancora, possiamo ridere delle sue fantasiose illazioni su una scuola di Brescia nella quale sarebbe stata addirittura insegnata della stregoneria. Un po’come in Le terrificanti avventure di Sabrina.
A cosa ci serve Netflix quando abbiamo la Lega per l’intrattenimento?
Nella sua accanita e – tristemente – condivisa lotta contro la caduta di certe stimmate, di certi marchi inutili, è leggibile una reticenza insensata ed esasperata nei confronti di tutto ciò che riguarda la parte più naturale e reale dell’uomo: il suo essere poliedrico, non per forza categorizzabile o etichettabile, di essere essenzialmente una creatura in possesso di desideri e sessualità. La ferma convinzione di dover mantenere in piedi idee quali la famiglia nucleare, l’eterosessualità, il gioco su valori di genere stabiliti in passato serve a poco. A niente, in realtà.
Il porno è bello, ed inizia piacere solo all’età in cui viene capito, ciò significa che un adolescente medio in piena scoperta e crisi ormonale dovrebbe parlare dei propri bisogni sessuali alla propria famiglia per poter aver accesso alla sua valvola di sfogo, nonché al suo più accessibile strumento educativo. Secondo il provvedimento, infatti, solo l’intestatario del contratto telefonico potrebbe eliminare il blocco automatico, chiedendo espressamente al proprio gestore. Privacy? Questa sconosciuta.
Come mettere in crisi un’industria che – seppur chiaramente non sempre – rende il sesso una creazione e non un tabù, e lo fa da anni nell’assoluta legalità. L’intento normalizzatore è chiaro, cristallino. Il reale pericolo è costituito dalla tempestività con cui la norma dovrebbe essere messa in atto. Non c’è il tempo materiale per mobilitarsi a contestarla, ad articolarla, a edulcorarla in modo che essa non sia così lesiva per la privacy e la libertà dei numerosi(ssimi) fruitori.
Il sesso, per quanto sbattuto in faccia ovunque, soffre sempre della schiavitù del patinato, così come siamo stati abituati dai vari Antonio Ricci di turno. Insomma, è ovunque ma è solo accennato, birichino ma mai sfacciato o realmente fruibile. È, nella TV italiana, il peccatuccio ammiccante ma involontario della velina diciottenne che sculetta attorno a Gerry Scotti, Ezio Greggio, Amadeus, Paolo Bonolis, ecc.
Il sesso, nella cultura italiana degli ultimi trent’anni, è l’arte del guardone. Il resto è tutto tabù. Chi sperava che – ad un certo punto – ci si riuscisse a liberare dello stigma del sesso come peccato o come forma di pericolo, deve tristemente inginocchiarsi ai piedi del negazionismo e alla immobilità di certi colossi ideologici radicati ed ereditari.
Ma verranno tempi migliori.
E con questa conclusione assolutamente scevra da qualsiasi tipo di ironia o retorica, vado a godermi i miei ultimi giri liberi su Pornhub.
Sveva Di Palma