Il covid non uccide i più deboli: il caso di Salvatore Solimeno
Oggi parliamo di una storia un po’ diversa.
Oggi parliamo di qualcosa che da un anno a questa parte accomuna la popolazione globale, e che al tempo stesso provoca reazioni diverse in ognuno di noi: paura, rabbia, indifferenza, ed in extremis rifiuto.
Oggi parliamo del Coronavirus, o meglio, di come questa piaga inaspettata ci abbia messi in ginocchio, di come questa sia stata e sia capace di distruggere i più forti: un esempio tristemente noto dalle cronache locali è quello di Salvatore Solimeno.
Francesco Landretta, suo collaboratore, mi ha contattata con il desiderio di ricordare Salvatore: la sua dedizione, il suo modo di vivere la vita, il suo improvviso spegnersi. Salvatore era un bodybuilder: non era esattamente ciò che in genere definiamo come soggetto debole. Perché sì, diciamocelo, in fondo è questo il pensiero corrente, soprattutto tra i giovani: “Era anziano”, “Aveva patologie pregresse”, “Non era particolarmente in forze”.
Salvatore, di forze, ne aveva eccome. Laureato in biologia, scienze delle attività motorie, nutrizione, una forte passione per l’allenamento: Salvatore era la reincarnazione di colui che fa della sua passione una professione. E infatti gli si diceva proprio questo: il tuo mestiere sarà il tuo più grande orgoglio, ma anche la tua rovina. Non staremo qui a sentenziare, ma con molta probabilità è stato contagiato proprio sul posto di lavoro, mentre seguiva i suoi ragazzi.
Sembrava un malessere generale, qualcosa di poco rilevante: eppure, quell’uomo così forte, quella roccia, fin dai primi momenti avvertì di star avendo a che fare con un nemico inaspettatamente temibile. Pochi giorni, veramente pochi, sono bastati per metterlo in ginocchio: e no, lo ripeto, Salvatore non era anziano. Salvatore non era debole.
Come se poi, l’essere anziani o deboli legittimasse il perire sotto i colpi del covid: era un uomo di 45 anni che amava visceralmente il suo lavoro e la sua vita. Dopo aver girato vari ospedali, ovviamente saturi per l’alto numero di contagiati, è stato ricoverato per sole due ore: si è spento così, improvvisamente, dopo un decorso tanto rapido quanto sorprendentemente crudele.
La volontà mia e di Francesco non è quella di diffondere l’ennesimo articolo di cronaca sull’ennesima vittima di Covid: lo scopo è, anzi, quello di sensibilizzare, di educare, di invitare alla prudenza, di incoraggiare. Salvatore non si sarebbe fatto scrupoli se gli fosse stato detto che un vaccino lo avrebbe salvato, così come tanti altri, giovani e meno giovani, forti e meno forti di lui, stroncati da un mostro che, oggi, potrebbe essere debellato se solo tutti fossero così coscienti da capire che, come qualsiasi cura, il vaccino ha effetti collaterali, ma non può e non deve essere temuto. Vaccinarsi è un atto d’amore, per sé stessi, per gli altri, per il futuro prossimo. Perché il vaccino è la sola, vera chiave per raggiungere quella tanto agognata normalità che ci manca.
Vaccinatevi. Nel rispetto anche di Salvatore.
Giovanna Alaia
Vedi anche: I bambini bilingui sono davvero confusi?