Elogio alla noia: in difesa dell’arte del non far nulla
“Posso concepire tutto, tranne la noia”, dichiarò una volta Hady Lamarr. Dalla donna che avrebbe gettato le fondamenta della tecnologia che ci ha poi regalato il WiFi, non potevamo che aspettarci il motto dell’era informatica.
Oggi siamo arrivati ad identificare così tanto del valore della nostra vita con la produttività, tanto da aver ricacciato la noia nel regno dei peccati capitali: più che una scusa inaccettabile, il dolce far niente, soli con noi stessi, ci sembra qualcosa di inimmaginabile.
Eppure, la noia non è solo necessaria al nostro adattamento, ma è un’emozione essenziale per la vita stessa: è capace di metterci in contatto con noi stessi, attraverso la contemplazione, la solitudine, l’immobilità. Capacità che sono necessarie per l’arte quanto per le scienze.
Essere capaci di annoiarsi significa non aver paura di restare soli col nostro mondo interiore, significa aver trovato la musica giusta per fare una danza con i propri fantasmi perché sì, siamo tutti case infestate, ma possiamo imparare ad accendere tutte le luci e a non aver paura di guardare.
Nel suo The conquest of Happiness, il filosofo inglese Bertrand Russell dedica un intero capitolo ai sentimenti di noia ed eccitazione, e scrive:
“Siamo meno annoiati dei nostri antenati, eppure siamo più spaventati dalla noia. Siamo arrivati alla conoscenza, o meglio, alla convinzione, che la noia non sia una parte naturale della nostra vita e che possa essere evitata da uno sforzo più o meno vigoroso all’attività”
Eppure, la nostra continua corsa lontano dalla noia ci porta ad instaurare un rapporto paradossale con l’eccitazione, per il quale ne siamo sia dipendenti, sia anestetizzati.
“Quello che vale per le droghe vale, più o meno in egual misura, ad ogni tipo di felicità. Una vita troppo piena di eccitazione sarebbe una vita capace solo di lasciarci esausti, un’esistenza in cui si renderebbero necessari stimoli sempre maggiori per raggiungere quel punto in cui riconosciamo la soddisfazione. C’è un elemento di noia che è inseparabile dall’evitare un’eccessiva rincorsa alla felicità, ed un’eccesiva rincorsa alla felicità non mina solo la nostra salute, ma a lungo andare ci rende insensibili ad ogni tipo di piacere: così preferiamo i trastulli alla soddisfazione, la furbizia alla conoscenza, la sorpresa alla bellezza… un po’ di noia è insomma essenziale ad una vita felice, ed è una cosa che dovrebbe esserci insegnata da piccoli”.
Arthur Schophenauer, probabilmente il più famoso pessimista di tutti i tempi, individua la noia come un prodotto tipico della modernità, anticipando molte delle teorie psicologiche successive nella sua filosofia: “Nel mondo come lo viviamo oggi, la vita è una missione: guadagnare qualcosa. Ma quando quel qualcosa è vinto, ci diventa presto un peso: ecco dunque giungere la seconda missione, che è trovare un modo di liberarci di quel peso”.
Insomma, per Shophenauer la vita è un continuo rincorrere la soddisfazione, per poi finire con l’annoiarci e ricominciare da capo. Spezzare il cerchio significa trovare una soddisfazione che non ci stanchi: significa fare della noia, allora, un pretesto per la ricerca di un piacere diverso da quello estinguibile, terreno.
“In questo caso, la noia non è nemica, ma alleata. È il terreno d’appoggio su cui riposare il nostro essere stanco dalla rincorsa, è il campo in cui coltivare i semi della vera presenza di spirito”.
Infine, Susan Sontag: una mente straordinaria che, letteralmente, si cibava di libri. Leggendo spesso dalle otto alle dieci ore al giorno, Sontag ha incamerato in sé stessa un’immensa conoscenza del passato, sempre mantenendo la capacità delle grandi menti di saper utilizzare questi semi per far germogliare un proprio giardino.
In As Consciousness Is Harnessed to Flesh: Journals and Notebooks, 1964–1980, Susan Sontag riflette sui possibili significati del concetto di noia:
“La gente dice: è noioso, come se fosse la cosa peggiore del mondo, come se nessuna opera d’arte avesse il diritto di annoiarli. Ma molta dell’arte dei nostri tempi è noiosa: Jasper Johns è noioso; Beckett è noioso; Robbe-Grillet è noioso, ecc. ecc. Forse dobbiamo cominciare a pensare che l’arte di oggi deve essere noiosa (il che non vuol dire che sia sempre buona, ovviamente).
Non dobbiamo aspettarci più che l’arte ci intrattenga, o ci distragga. La noia è una funzione dell’attenzione. Dobbiamo imparare nuovi modi di stare attenti – per esempio, imparare a cogliere con l’orecchio ciò che ci annoia all’occhio. Se continuiamo a pensare alle cose con lo stesso livello d’attenzione di sempre, è naturale che troveremo X noioso. Per esempio, se ascoltando qualcosa ci concentriamo sul messaggio invece che sul suono. Siamo troppo orientati al messaggio: forse, se leggessimo una stessa frase ripetuta abbastanza, o uno stesso suono o una stessa immagine, forse per scappare alla noia riusciremmo a comprendere le cose ad un altro livello di attenzione. Insomma, se ci annoiamo, dobbiamo cominciare a chiederci se stiamo facendo esperienza di una cosa nel modo giusto”.
Marzia Figliolia
Vedi anche: La felicità è un’idea assurda del Caligola di Albert Camus