I misteri della mente: la sindrome di Capgras
“Via da me, alieno!”, “Allontanati da me, impostore!”.
Se qualcuno dovesse pronunciare delle frasi del genere due potrebbero essere i motivi: o vi sta prendendo in giro o potrebbe essere affetto dalla sindrome di Capgras.
Ovviamente, tale sindrome la si riconosce mediante un percorso molto più approfondito.
Per una diagnosi più precisa, pertanto, un neuropsichiatra sceglie di fare test sul linguaggio – perché in alcuni di questi casi si perde un po’ quella fluidità del discorso- , test sulla memoria e altri test neurologici. Ma sicuramente i sintomi maggiormente manifesti sono da rapportarsi ad un cambiamento nei confronti di una persona cara che non viene più riconosciuta nel suo ruolo abituale, ma diventa estranea o minacciosa; nei casi più estremi, si pensa di parlare con un sosia di quella persona, un alieno, un impostore che ha rubato quell’identità, fino a sfociare in atti paranoici molto più forti.
Le cause possono essere molteplici, come un trauma cranico, demenza di vario tipo, disturbi cerebrovascolari, psichiatrici o dell’encefalo dovuti a epilessia, assunzione di sostanze stupefacenti, ecc…
Gli studiosi la classificano come malattia legata al disconoscimento emotivo dal momento che si riesce effettivamente a riconoscere chi si ha davanti ma non il legame affettivo con questa. Non si tratta di allucinazioni, quanto piuttosto di un rifiuto dell’identità di un qualcuno che si conosce bene.
Nel 1923, lo psichiatra francese Capgras (da cui il nome), studiò il caso di una donna di 53 anni, affetta da psicosi da 10 anni, la quale sosteneva di essere stata sostituta dalla nascita e che il suo vero io era una ricca ereditiera e che per queste sue ingenti ricchezze, molti complottavano contro di lei e sostituivano le persone a cui era legata con dei sosia.
I soggetti affetti da tale sindrome non credono che ciò che loro sostengano sia falso, anzi appaiono fermamente convinti delle loro teorie che giustificano con confabulazioni di vario genere, sottolineando, con vastità di dettagli, le differenze che intercorrono tra i “sosia” e gli “originali”.
Spesso il paziente si trova a riconoscere il proprio caro attraverso la voce, come se l’area uditiva non fosse stata intaccata rispetto a quella visiva o, ancora, che provi sentimenti di rabbia o di delusione verso una persona cara. Quindi l’immagine di un suo impostore consente di riversare in lui tali sentimenti, piuttosto che al diretto interessato, perché questo farebbe più male.
Il tema quindi è estremamente delicato e nonostante farmaci e percorsi terapeutici, la situazione è ancora da studiare.
Valla a capire la mente umana!
Alessandra Liccardi
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