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È la sazietà semantica o sono ignorante?

È il vostro compleanno, entrate su Facebook e trovate una marea di auguri in bacheca… o almeno più di un paio (no judging here) .


L’attenzione ricevuta vi fa sentire affabili e quindi decidete di degnare ognuno dei gentili conoscenti di una risposta. Perciò scegliete una manciata di emoji da alternare, allegandoli allo statico e conciso “grazie”.

Ma dopo una dozzina di commenti vi sembra di scriverlo male.

Vi chiedete quale sia la corretta sequenza delle lettere, cosa significhi in realtà questa strana parola, da dove venga, perché sia così vuota. E ancora se per questo dobbiate restituire la laurea, il diploma superiore, la licenza media, quella elementare, la tessera del cinema, l’abbonamento a Netflix, il battesimo.

No, l’abbonamento a Netflix no, vi prego.

E ciò accade con qualsiasi parola, in ogni ambito, se reiterata.

Non vi è mai successo? Beati voi.

Falsi.

Noialtri invece ci facciamo sopraffare da quella che gli psicologi e professori Leon James e Wallace Lambert hanno definito come sazietà semantica. Lo hanno fatto nel 1961, nell’articolo “Semantic Satiation Among Bilinguals”,all’interno del Journal of Experimental Psychology.

Il concetto di sazietà semantica è noto anche come sazietà verbale e saturazione semantica ed è stato descritto, ancor prima di avere questo nome, da E. Severance e M.F. Washburn ne L’American Journal of Psychology del 1907.

Gli eruditi in questione hanno perciò parlato di un fenomeno il quale, a seguito e a causa della ripetizione ininterrotta di una parola, provoca la strana sensazione che quest’ultima abbia perso del tutto il suo significato.

L’insieme di vocali e consonanti resta quindi, in questi casi, soltanto ciò: un insieme di vocali e consonanti. E a quest’ultimo non corrisponde più un significato corrispettivo nella mente di coloro i quali lo pronunciano, che si trovano straniti di fronte a un’accozzaglia senza senso di lettere.

Secondo Leon James, ciò avviene poiché la sazietà semantica null’altro è che un’inibizione reattiva.
Lo psicologo afferma che quando una cellula cerebrale spara, è necessaria a quest’ultima maggiore energia per sparare una seconda volta. E gliene serve ancor più nel caso di una terza volta, finché alla quarta non sparerà neppure con maggior tempo a disposizione. Allo stesso modo, più volte si ripete una parola, più energia è necessaria.
James sostiene quindi che si tratti di un tipo di affaticamento dovuto al reiterarsi dello stesso sforzo verbale, sforzo che di volta in volta consuma sempre più energia psichica.

Perciò no.

Non siamo ignoranti.

Siamo solo affaticati psichicamente.

Ma, soprattutto, siamo reattivamente inibiti.

Giovanna Iengo

Disegno di Alessandro Mastroserio

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Giovanna Iengo

Giovanna Iengo, appassionata di serialità televisiva statunitense e di streamer globalizzati. Si affaccia all'intersezionalità nei panni di alleata e prova a scoprire il mondo, tra un approfondimento e un po' di attualità.

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