Iracondo, enigmatico, alchimista: il Mosè di Michelangelo
di Luisa Ruggiero
“La mia attenzione è caduta così sul fatto, apparentemente paradossale, che proprio alcune delle creazioni artistiche più meravigliose e travolgenti sono rimaste oscure alla nostra comprensione. Le ammiriamo, ci sentiamo sopraffatti dalla loro grandezza, ma non sappiamo dire che cosa rappresentano”, è questo che afferma Freud nell’introduzione del suo saggio Il Mosè di Michelangelo del 1913.
Ed è proprio in questo modo che ci si sente entrando nella Basilica di San Pietro in Vincoli. Ad un tratto mentre si cammina nella navata centrale, distratti dalla luminosa abside sovrastata dal ciborio in legno dorato e dagli affreschi, si viene completamente sopraffatti non solo dall’imponente mausoleo che doveva essere la tomba di papa Giulio II ma anche, e soprattutto, dall’enorme statua posta al centro della composizione: il Mosè di Michelangelo, appunto.
Alta due metri e trentacinque centimetri, la statua è considerata uno dei capolavori dell’arte rinascimentale. Non è solo per la grandezza e per la possanza che il Mosè di Michelangelo continua a distanza di anni ad affascinare e a destare curiosità sul suo concepimento e sulla sua evidente metamorfosi in corso d’opera.
Partendo dal presupposto che l’opera sia stata oggetto delle interpretazioni più disparate, è ormai stato accettato dalla maggior parte dei critici che Mosè sia stato colto dall’artista dopo la discesa dal monte Sinai con le Tavole della Legge appena ricevute, nel momento in cui, volgendo lo sguardo al suo popolo, si accorge che stava adorando un vitello d’oro. Colto dall’ira sta per balzare in piedi e le Tavole della Legge stanno per cadergli di mano, destinate ad infrangersi al suolo.
È un momento di grande tensione psicologica. Michelangelo ci presenta un Mosè fiero, composto, che supera la tentazione e controlla le sue passioni, è padrone di se stesso e dei suoi comportamenti; mitiga, governa, controlla. Non a caso è stato scelto da Dio per condurre il popolo alla salvezza, non a caso è stato scelto come detentore della sacra virtù custodita nelle Tavole della Legge consegnategli da Dio stesso, proprio quelle Tavole che rischiavano di essere distrutte a causa di un impeto non controllato, ma che è riuscito a salvare attraverso un movimento repentino della mano che si sposta all’indietro e le afferra in maniera ancora più salda. Quelle Tavole che mostrerà con fierezza al suo popolo, rendendolo edotto sul volere divino, nonostante lo avesse deluso con il proprio comportamento.
L’espressione del volto è sicuramente una delle chiavi di volta nell’interpretazione di questa controversa opera. Il viso non è frontale come nella prima realizzazione, si gira e muta, è contratto in uno sforzo sovrumano, che rende il Mosè di Michelangelo eroico nell’atto di proteggere qualcosa: la sua integrità, le Tavole della Legge, il suo popolo. Le corna sono un attributo che si deve forse ad una cattiva interpretazione dell’Esodo, 34, 29, da parte dello stesso Michelangelo. Egli avrebbe interpretato come “corna” quelli che in realtà dovevano essere “raggi” che illuminavano il volto di Mosè, oppure a una forse corretta interpretazione di un Mosè che reca in sé non solo i tratti tradizionali ma anche quelli magici della trasformazione in quel toro che avrebbe poi distrutto.
“Mosè prese il vitello d’oro che essi avevano fatto, lo bruciò con il fuoco e lo stritolò fino a ridurlo in polvere, e la sparse sulla superficie dell’acqua e la fece bere ai figli di Israele.”
La calcinazione, la soluzione e la potabilità dell’oro sono le tre operazioni alla base della scienza e della conoscenza alchemica. Questo ed altri elementi, come l’inflizione delle piaghe agli egiziani, la spartizione delle acque del Mar Rosso, la trasformazione di alcuni oggetti inanimati, la guarigione, la capacità di far scaturire acqua dalla roccia e di far piovere cibo dal cielo, porterebbero all’elaborazione di un personaggio molto più complesso di come ci è stato finora tramandato. Oltre al volto è possibile notare il piede in tensione ancora proiettato verso un’azione che non è destinata a compiersi, confermata da un ginocchio che l’artista è stato costretto a rimpicciolire proprio per cambiare la direzione del soggetto.
L’opera così pensata ci offre una lettura diversa dell’uomo che nella Bibbia realmente si lascia sopraffare dalla collera e lascia cadere le Tavole al suolo; quello che occupa il posto centrale del mausoleo è un essere al di sopra dell’uomo storico-tradizionale, è il simbolo dell’integrità morale e del controllo delle passioni, è la figura dell’uomo saggio, la sua possente stazza e la sua formidabile muscolatura sono l’espressione di un’incredibile forza psicologia che porta l’uomo, quello stoico, a soggiogare le proprie passioni per essere fedele alla propria missione, per non tradire, per sostenere fino in fondo la causa a cui si è votati.