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Gli abiti più iconici dell’alta moda (quando non c’erano ancora Nike e Obey) – Parte I

Se da un lato il macromondo dei Millennials non sa resistere alla fast fashion, soprattutto per i capi basic e cheap, dall’altro c’è anche chi pone una grande attenzione ai capi di lusso, specialmente per accessori come occhiali, scarpe, cinture… ma l’alta moda è un’altra cosa!

Se nel 2021 non c’è più posto per la Haute Couture, non è detto non si possa essere malinconici.

Che si tratti di abiti di “uso quotidiano” o di abiti da red carpet, alcuni sono dei veri e propri pezzi rivoluzionari, non semplici abiti, che hanno solcato un percorso, preso tutte le luci della ribalta, riflettendo la situazione culturale e storica in cui sono nati ma il genio e l’unicità dei loro creatori hanno senza dubbio sancito la nascita, la storia e il concetto di moda come vera e propria arte.

Alcuni ancora oggi mantengono il loro fascino e ti costringerebbero a rapinare una banca per acquistare e aggiungere alla tua collezione di Zara e H&m un lussuoso Chanel.

Non male. Ma forse sarebbe meglio un piano B.

Il tailleur tweed di Chanel

Il tailleur è un capo irrinunciabile, opera del genio creativo di Mademoiselle Chanel, ispirata dal desiderio di realizzare un capo elegante ma comodo che rispecchiasse il temperamento di una donna libera e autonoma.

Coco odiava tutto ciò che costringeva il corpo femminile e lo rendeva goffo, come corpetti e lunghe gonne pesantissime. Confezionò i primi vestiti sempre mantenendo la sua identità: le donne che indossavano capi Chanel erano donne emancipate, che potevano camminare comode e agili nei loro abiti, e non avevano bisogno di una cameriera per vestirsi né di un uomo per salire in automobile. Erano donne indipendenti, proprio come lei.

Dobbiamo aspettare il secondo dopoguerra per sentir finalmente parlare del suo celebre tailleur. Lo scopo era quello di creare qualcosa che garantisse un’eleganza perfetta ma anche l’agilità nei movimenti, mantenendo sempre una forte carica femminile.

Ne realizzò di tantissimi, ma quello che passò alla storia fu sicuramente il modello in tweed: un morbido e comodo tessuto a trame larghe, con fili di fibre e intrecci.

Gonna al ginocchio e giacca essenziale, e ancora oggi, il gioco è fatto!

La giacca Bar di Dior

Nel 1947 Christian Dior lancia il suo tailleur Bar nell’ambito della prima collezione chiamata Corolle. La prima, nell’atelier di 30 Avenue Montaigne dove ancora oggi la Maison affonda le radici.

La giacca Bar fu il punto luce della collezione, caratterizzata da una vita molto stretta, le spalle morbide e voluminose, i baschi voluti per accentuare la forma dei fianchi e uno scollo abbastanza aperto, perfetta per gonne molto ampie o a palloncino.

Il capo Dior divenne subito emblema di una moda in cambiamento, del savoir faire tipico dei migliori atelier, tanto da rivoluzionare anche il disegno del corpo femminile: “It’s such a new look!”.

Un look però anche molto contestato: soprattutto negli Usa, pochi mesi dopo molti uomini inscenarono manifestazione di contestazione all’arrivo di Dior che si trovava lì per ritirare un premio: l’accusa era che attraverso «lo spreco di metri di tessuto per costruire una gonna, il sarto francese ha ridato alle donne il diritto alla sensualità».

Quanto avrebbero dovuto lavorare in più i mariti per comprare queste gonne che avevano bisogno di 5 metri e mezzo di un tessuto alto 140 centimetri? Le proteste non ebbero successo e il tentativo di boicottaggio fallì: le donne dimostrarono di potersi permettere da sole l’acquisto di quello che volevano. E perché no, anche una giacca Bar di Dior.

Il tubino nero di Givenchy

Più che un abito è un piccolo feticcio da museo. Reso famoso, nella sua versione longuette, da Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany nel 1961, è diventato il passepartout più chic del guardaroba femminile.

Il modello è basico, senza maniche, lungo fino al ginocchio o alla caviglia, estremamente femminile e di grande eleganza. Nero, semplice, minimale ed eternamente chic, è un capo imprescindibile, assolutamente irrinunciabile: con un tubino non si sbaglia mai.

Hubert de Givenchy ha sempre considerato Audry un po’ la sua musa.

Non è stato solo LO stilista ma anche un grande amico dell’attrice, tanto da farla diventare testimonial del suo primo profumo Interdit. La diva ha spesso scelto personalmente dei capi dalle collezioni di Hubert, che l’ha definita per tutta la vita una fonte di ispirazione.

Lo smoking Tuxedo di Yves Saint Laurant

A portare sulla strada del successo il tailleur pantalone per donna, fu Yves Saint Laurent nel 1966.

Le Smoking, in quegli anni, rappresentava un’alternativa audace per le donne, che erano limitate all’uso delle gonne, o meglio minigonne – siamo negli anni sessanta – ma nonostante si respirasse un’aria femminista una donna che indossava i pantaloni, era ancora una provocazione.

Per Yves Saint Laurent Le Smoking non era un modo per dichiarare guerra alle discriminazioni di genere, ma un semplice e tagliente modo per risaltare la femminilità che risiede in ogni donna: “Il pantalone è un vezzo, un fascino supplementare, non un segno di uguaglianza o di liberazione”, diceva.

Donne forti e coraggiose che ancora oggi, a distanza di anni, possono indossare uno smoking pantalone con fierezza e decisione, in ufficio o per fare serata. Grazie Yves, perchè è grazie a te se abbiamo alternativa ai soliti dress nascosti nell’armadio!

L’abito “Rosso Valentino”

Come Elsa Schiaparelli, designer stravagante ed eterna rivale di Coco Chanel, inventò l’iperfemminile colore rosa shocking, così anche Valentino inventò un suo colore che divenne l’emblema della maison.

Una particolare sfumatura di rosso molto acceso tra il porpora, il carminio e il rosso di cadmio, prende vita una sera quando Valentino era ancora studente. Durante la visione di uno spettacolo d’Opera a Barcellona, vide tra il pubblico una donna e pensò che fosse perfetta avvolta nel suo abito rosso: quella donna sarà la musa ispiratrice di tutto il suo stile a venire.

Il rosso è un colore che non si può ignorare. È narratore di piaceri, di foga, d’amore, ma anche di eleganza e audacia. Fin dalla prima sfilata della maison tra abiti femminili dai tessuti preziosi, ad attirare l’attenzione è l’uso di un colore acceso, destinato a fare la storia, e che da quel momento sarà definito da tutti il rosso Valentino.

La storia di un rosso acceso che da oltre 50 anni affascina tutti perché sa fare la differenza.

È pur vero che la moda passa, ma un’icona è per sempre.

Serena Palmese

Vedi anche: Fotografia al femminile, quando la Newborn si afferma in Campania

Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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