Il lungo viaggio di Wally
Un viaggio lungo quattromila chilometri è stato quello intrapreso per caso da Wally.
Dal circolo polare artico Wally si è spostato in Danimarca, Irlanda, Galles, soggiornato per breve tempo in Cornovaglia, per poi approdare a Les Sables-d’Olonne, sulle coste francesi.
Ma chi è Wally?
Wally è l’emblema del cambiamento climatico.
Battezzato con questo nome in riferimento al cartone animato Picchiarello, il tricheco Wally si è ritrovato tutto solo su una lastra di ghiaccio, che a causa del surriscaldamento globale si è staccata. Le correnti hanno poi trasportato il tricheco lontano dalla sua casa il Polo Nord.
Secondo quanto riferiscono gli esperti erano anni ormai, dal secolo scorso, che un esemplare di questa specie non faceva la sua comparsa a queste latitudini ed è chiaro che la causa sia il riscaldamento degli oceani.
Il tricheco risulta essere in buone condizioni fisiche e si è placidamente addormentato sugli scogli della cittadina francese, attirando turisti e curiosi locali che avevano, con molta probabilità, visto un animale di questa specie solo nei documentari.
Gli studiosi dell’Observatoire Pelagis monitorano la salute di Wally e stanno valutando la possibilità di riportarlo nel suo habitat naturale, per garantirgli maggiori possibilità di sopravvivenza.
Il riscaldamento globale dovuto all’inquinamento porterà molti altri Wally lontano dal loro ambiente naturale e la vita stessa di alcune specie è in pericolo. Gli oceani sono minacciati dalla grande quantità di plastica, spesso scambiata per cibo da pesci, delfini e tartarughe, ma anche dall’inquinamento prodotto dall’agricoltura, dalla pesca intensiva e dalle grandi navi.
Secondo i dati forniti dalla International Union for Conservation of Nature, il 5% delle specie marine conosciute sono a rischio estinzione, ossia circa 1414!
Mentre Wally era sballottato spaurito su una lastra di ghiaccio tra le onde, una nave mercantile al largo dello Sri Lanka prendeva fuoco sotto gli occhi del mondo. La MV X-Press Pearl, battente la bandiera di Singapore, partita dall’India e diretta a Colombo, per tredici giorni ha bruciato vicino alle coste dello Sri Lanka e inutili sono stati tutti i tentativi fatti per portarla quanto più possibile lontano, in mare aperto.
Stando alle indagini, ancora in corso, l’incendio è stato innescato dalla fuoriuscita di acido nitrico, di cui l’equipaggio era a conoscenza da 10 giorni prima che le fiamme avvolgessero la nave, arrivando poi al tragico ed inevitabile epilogo del suo affondamento.
Si ritiene che questo sia stato uno fra i peggiori disastri ambientali di sempre: la nave trasportava infatti sostanze altamente tossiche che si sono disperse. Acido nitrico, idrossido di carbonio, plastiche grezze usate per la fabbricazione di buste e cosmetici ed il carburante della nave, hanno invaso le acque e le spiagge.
Incalcolabile è il danno inferto alla pesca, agli animali, ai coralli ed anche alle foreste di mangrovie. Molti mesi ci vorranno per pulire in parte quanto uscito dai container della nave, ma alla fauna e alla flora occorreranno moltissimi anni per rigenerarsi completamente.
Che la causa di questa devastazione sia l’uomo è ovviamente chiaro, ma meno chiaro è il perchè l’essere umano si ostini imperterrito a distruggere il posto in cui vive.
Il punto di non ritorno ormai è quasi arrivato ma l’inquinamento da noi prodotto continua ad essere troppo elevato.
Beatrice Gargiulo
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