Quanto è facile sentirsi nostalgici con Generazione 56k!
È con le parole di Paul Anka che si apre la nuova serie Netflix, produzione tutta italiana di Cattleya in collaborazione con gli amatissimi The Jackal. Generazione 56k si presenta come una commedia romantica made in Procida.
“Put your head on my shoulder…”
Gli avvenimenti si svolgono tra l’isola di Procida e Napoli e la narrazione oscilla su due piani temporali, il presente e il passato.
Non parliamo di un passato molto distante, ci troviamo difatti nel 1998 tra l’avvento di internet nelle case e le prime tempeste ormonali. Sono passati appena ventitré anni ma la narrazione, molto fedele alla realtà, ci rende partecipi di un cambiamento sociale fortissimo, che ha investito le vite di tutti in poco più di due lustri.
La trama di per sé è molto semplice: lui, lei… e l’altro. Semplice, se non fosse che l’intero tessuto della serie ci riporta ad una sorta di commedia dell’intreccio dove le svolte sono inaspettate e ci fanno ben sperare per l’agognato lieto fine.
Angelo Spagnoletti e Cristina Cappelli interpretano Daniel e Matilda due trentenni ex compagni di scuola che si incontrano, per puro caso, dopo vent’anni.
Esatto, per puro caso, perché Daniel mica lo sa che quella ragazza incontrata in quel bar è proprio Matilda? Daniel, credendo di aver incontrato una ragazza conosciuta su un’app di incontri, passa invece la serata con Matilda che termina, oltre che col goffo tentativo di Daniel di reggere i drink di troppo, con una singolare intesa tra i due.
Le app di incontri e le conoscenze frettolose, che caratterizzano le relazione odierne, sono al centro del racconto e realizzano un perfetto quadro di indagine sociale.
Come vi ho già anticipato, Daniel e Matilda si conoscono fin da bambini e si sono persi di vista per un bel po’. Matilda, mentre vive il dolore per la lontananza di suo padre, ha una bella cotta per Daniel, che invece è innamorato di Ines, migliore amica di Matilda.
Il rapporto burrascoso col padre, rende Matilda una donna che ha qualche difficoltà nel relazionarsi con gli uomini o, comunque, nel creare rapporti stabili e mettersi in gioco.
Sta per sposare Enea, l’emblema dell’uomo perfetto, gentile e a tratti accondiscendente, ma qualcosa non va. Anche Matilda prova qualcosa per Daniel, non più una cotta come da bambina, ma questa volta un sentimento reale, che porta la protagonista ad interrogarsi sulle nozze e sul suo rapporto, ormai, frutto dell’abitudine.
Generazione 56k è una bellissima rete di salvataggio e culla di nostalgia. Se da un lato ci mostra come le relazioni odierne siano frutto della fretta e quanto abbiamo paura di metterci in gioco, dall’altro ci dà speranza, proponendoci la storia di Daniel e Matilda, storia al di fuori di qualsiasi app e schema preimpostato.
Ammetto di aver avuto non poche remore nei confronti di questa serie, pensavo al solito prodotto commerciale, ma devo dire di essermi ricreduta.
Una serie appassionante, suggestiva, che tocca le giuste corde.
Chi, come me, è nato a cavallo tra gli anni Novanta e il Duemila, credo possa capirmi quando dico di aver provato una strana nostalgia, una nostalgia per qualcosa mai realmente vissuta. Potremmo definirla come la sindrome dell’età dell’oro, per intenderci la stessa che Woody Allen mette in scena in Midnight in Paris.
Sarà che le epoche passate ci sembrano sempre più sfavillanti e adatte a noi, ma Generazione 56k ci riesce proprio bene nel farci sentire nostalgici.
E noi ci culliamo in questa rete forse anche un po’ idealizzata, dove i rapporti sono più semplici, più spontanei, dove tutto si rallenta, dove non siamo più così facilmente sostituibili e non lo è neanche chi ci sta di fronte.
Forse tutto ciò che vorremmo è il tempo. Tempo di scoprirsi, di conoscere, forse anche di sbagliare e maledirsi, ma torniamo inevitabilmente al presente e tutto si riduce al tempo di una notifica su Instagram.
D’altronde, ammettiamolo, quanto ci piace sentirci nostalgici?
Catia Bufano
Vedi anche: Zero Netflix e una pioggia di “cazzo bro’”