EdMud: un viaggio nell’anima
di Anna Russo
Un’intervista improvvisata al nuovo album di EdMud: Izumi.
Mi trovo in treno e, come ogni giovedì, mi dirigo verso Napoli. Guardo fuori dal finestrino: il mare oggi è calmissimo, io, al contrario, sono un turbinio di pensieri. Prendo il telefono, apro Spotify, seleziono Izumi – magari mi aiuterà a rilassarmi –. Distrattamente alzo lo sguardo: qualcuno sta attraversando il vagone, è EdMud, all’anagrafe Raffaele Fogliamanzillo.
“Stavo ascoltando il tuo album.”
Lui sorride, come suo solito, con quel sorriso tenero ma al contempo ironico. Inizio a straparlare… alle 8:30 del mattino. Lui un po’ mi detesta, ma sfodera tutta la sua pazienza e risponde ad ogni mia domanda.
Non mi hai ancora spiegato il perché di questo alter ego, da dove è saltato fuori EdMud?
“EdMud sta a sintetizzare la mia infanzia, Eddie era un personaggio, non protagonista, di un manga, Mongolian Chop Squad, silenzioso, carismatico, a cui non interessava di nulla se non di suonare. Io volevo essere come lui, forse perché sentivo mi somigliasse, non me lo sono imposto. Mud, invece, sta per ʽfangoʼ e questo rimanda allo sporco, al suono sporco, il brusio del registratore a nastro, ʽEddie che gioca nel fangoʼ.”
La prima volta che ho ascoltato Izumi non mi sono accorta di aver ascoltato l’album per tre volte, è come se fosse ciclico, come se finisse e rinascesse in modo del tutto spontaneo.
“Io, in Izumi vedo un film, un’immagine ben precisa. Le tracce non le ho ordinate, sono cronologicamente nate così. Come un viaggio e un ritorno. Ho voluto dare l’idea, in Six, di uno che esce di casa ed inizia un viaggio, partendo da ovest, si sposta sia di ritmo che di sonorità, dall’Occidente americanissimo verso l’Europa per poi arrivare finalmente in Giappone con Izumi, ripassando per gli Stati Uniti con She is, per poi ritornare a sonorità asiatiche con The end a cui è legata una traccia nascosta, Ghost love, che rappresenta l’effettivo ritorno a casa.”
È stato un viaggio catartico?
“Sì, Izumi significa sorgente, tutto è nato come se fosse acqua in una sorgente, una sorgente di idee in cui rifugiarmi da cose che mi rendevano infelice. Sono stato ispirato, per tutta la creazione del disco. È stato completamente catartico anche perché tutto ciò che non mi convinceva, che non mi rappresentava appieno, è stato scartato, eliminato. Volevo che fosse conciso, essenziale, anche correndo il rischio che risultasse scarno.
Ho deciso di ritrovarmi, di capire io chi sono.”
Mi ha colpito molto il fatto che tu promuova il tuo album con fotografie di amici ed altri appassionati, rappresentandoli e rappresentandoti, però, in bianco e nero su uno sfondo verde, lasciando soltanto gli abiti del colore reale. Perché?
“L’idea mi è venuta perché sono appassionato degli anni ‘90 e del VHS, amo ʽglicciareʼ le famose barre colorate e, pensando a me, mi sentivo come proiettato in un film, in qualcosa di finto, e sbiadito dalla vita, quando, in realtà, tutta la natura intorno a me è vera e per tale motivo lo sfondo riporta al fango, alle origini.”
Una cosa che mi piace un sacco di queste tracce è che riesco ad ascoltarle in treno mentre si sovrappongono ai rumori circostanti, come se diventassero un tutt’uno. Ma, materialmente, come crei i suoni che riproduci, cosa fai?
“Di tutto e di più. Senti questi passi? Io li riproduco con un microfono vicino e li registro, insieme a qualsiasi altro suono comune: il rumore delle mani che battono, il ghiaccio in un bicchiere. Una delle sonorità che riporto in tutte le mie tracce è il rumore della pioggia, insieme al riconoscibile fruscio del registratore a nastro.”
Li registri e poi li metti insieme?
“Sì, la mia musica è legata alla pura elettronica ma anche all’ambiente, è spesso legata a suoni lunghi, riverberi immensi, con l’utilizzo di un’armonia di natura jazzistica, e di improvvisazione jazzistica. Spesso dal vivo lo faccio. Il tutto, però, legato a sonorità rilassanti, melodiche. Il mio genere viene identificato appunto col ʽchill outʼ, che significa rilassarsi.”
Intanto il treno corre e siamo arrivati alla fermata di Ed, faccio giusto in tempo a farmi promettere di rispondere ad altre domande. Lui scende, mi fa una smorfia dalla fermata. Io proseguo il mio viaggio riprendendo l’album da dove lo avevo interrotto.