Il 2 giugno 1981 moriva una delle voci più originali della musica italiana degli anni settanta. Un cantante estroso che in anni difficili ha conquistato i giovani con i suoi testi eccentrici e surreali.
Era un anticonformista Rino, distante dal modo di concepire il cantautorato di quegli anni. Con una personalità in netto contrasto con l’ambiente musicale dell’epoca, riluttante a dare spazio a personaggi difficili da collocare. E forse anche per questo è stato troppo spesso frainteso durante la propria carriera, sottovalutato da critica e grande pubblico che definiva “scanzonata” la sua musica.
Ma Rino Gaetano è stato molto altro: le sue canzoni hanno raccontato l’Italia degli anni Settanta, per troppi aspetti attuale. Un’Italia corrotta, piena di pregiudizi e contraddizioni. E lo ha fatto a modo suo: con acume e irriverenza.
«Chi ha crisi interiori, chi scava nei cuori
Chi legge la mano, chi regna sovrano
Chi suda, chi lotta, chi mangia una volta».
È il 1978. Sono mesi di grande tensione: gli omicidi di Aldo Moro e Peppino Impastato del 9 maggio, ultimi residui della contestazione studentesca-operaia. E mentre alla radio ancora impazza Gianna, presentata a Sanremo pochi mesi prima, Rino presenta Nuntereggae più: un lungo elenco di problematiche e personaggi che animano la scena italiana.
Ed è forse questa canzone, insieme ad Aida, il suo più grande lascito. Canzoni che rimangono indelebili nel tempo.
È stato uno squarcio nel panorama musicale italiano.
«Penso che niente esprima meglio di un cane il concetto di emarginato, di escluso. Cioè, il cane è la solitudine per eccellenza. Il discorso è in fondo sui poveri cani che siamo tutti quanti noi, abbastanza avulsi dall’incontro umano e abbastanza soli. Siamo abbastanza messi da parte, l’uno con l’altro».
Oggi ricordare il Rino Gaetano dissacrante e ironico è l’impegno delle nuove generazioni. Nessuno lo metterà da parte. Perché Rino non sarà mai più figlio unico.
Illustrazione e didascalia di Simone Passaro
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