Lo Stato di non diritto
Art.2 : “ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Art.3 : “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, religione, lingua, opinioni politiche…”.
Art.13: “ E’ punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà”.
Art.27: “ Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Quelli sopra citati sono gli articoli della Costituzione italiana, che dichiara con chiarezza quali sono i diritti inviolabili dell’uomo e quindi le libertà fondamentali su cui si basa la democrazia, che rendono questo uno Stato di diritto.
Gli ultimi eventi di cronaca però hanno messo seriamente in discussione questa certezza poiché in uno Stato di diritto, una moderna democrazia, non dovremmo dover assistere a brutali pestaggi in carcere, ad opera proprio di quegli agenti che dovrebbero rappresentare lo Stato, come invece è accaduto.
I fatti risalgono ad aprile 2020, quando nel carcere di Santa Maria Capua Vetere si generarono una serie di rivolte da parte dei detenuti, che protestavano per la sospensione delle visite e per la mancata distribuzione di dispositivi di sicurezza, quali mascherine e disinfettanti, per proteggersi dal Covid-19, dopo la diffusione della notizia di un caso di covid accertato all’interno della struttura.
L’Italia è stata condannata per ben due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento delle carceri ed anche il carcere di Capua non fa eccezione, avendo 809 posti letto disponibili ma ospitando nei fatti più di mille detenuti, rendendo impossibile garantire il distanziamento.
Il 5 aprile, nel reparto Nilo, la rivolta si fece particolarmente forte, i detenuti si rifiutarono di rientrare nelle loro celle, occuparono i corridoi ed alcuni trasportarono fuori anche le brande: in tarda serata, con la promessa da parte del personale di ottemperare alle loro richieste, fu ristabilito l’ordine.
Il 6 aprile però gli agenti di polizia penitenziaria organizzarono una perquisizione, che stando ai video diffusi nei mesi scorsi, ha più le sembianze di una macabra spedizione punitiva per colpire chi si era ribellato. La magistratura stessa, che sta indagando, l’ha definita come: “ perquisizioni personali arbitrarie e abusi di autorità”.
I video che sono stati diffusi hanno lasciato tutti sgomenti, si fatica a trovare le parole di fronte a tanta violenza ingiustificata e premeditata, come testimoniano le chat al vaglio della magistratura, che ha fermato 117 persone tra agenti di polizia e dirigenti.
Viene spontaneo chiedersi perché così tante persone si siano dimenticate quale fosse il loro reale dovere e degenerare in violenze degne di squadracce fasciste, umiliando volutamente, quasi con agghiacciante divertimento, persone inermi, impossibilitate a difendersi.
Questi agenti che hanno tradito lo Stato e i loro tanti altri colleghi che invece lavorano ogni giorno rispettando la propria dignità e quella degli altri, non sono degni della divisa che indossano, dei ruoli che ricoprono, hanno scelto la violenza che non porta a niente se non a fomentare la rabbia, poiché dalla violenza può nascere solo altra violenza.
È chiaro che si è persa la consapevolezza che il carcere deve mirare alla rieducazione dell’individuo, fornirgli quegli strumenti per riabilitarlo e cambiare la strada intrapresa in precedenza e che lì lo aveva portato, per inserirlo nuovamente nel tessuto sociale.
Il presidente del consiglio Mario Draghi ed il ministro della giustizia Marta Cartabia hanno visitato il penitenziario come risposta per i gravi fatti accaduti per esprimere solidarietà ai detenuti.
Emblematiche sono state le parole del premier : “La responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Il Governo non ha intenzione di dimenticare. Non può esserci giustizia dove c’è abuso. E non può esserci rieducazione dove c’è sopruso”.
Secondo i dati riportati dal Corriere della Sera, nel 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere sono avvenuti due suicidi, trenta tentativi di suicidio e 196 casi di autolesionismo.
L’indignazione è tanta, e ancora una volta ci affidiamo alla speranza che azioni simili non si verifichino più e che il Governo non abbia la memoria breve, ma seriamente si impegni, questa volta, ad apportare miglioramenti nelle carceri, dove soprusi e sovraffollamento impediscono di ottenere la rieducazione dei detenuti.
Beatrice Gargiulo
Vedi anche: “Nessun rimorso”, memento a fumetti sul G8 di Genova