Klunni the clown e il lato oscuro della psiche umana: intervista a Francesca Conte
di Rebecca Grosso
Innovativo, sfacciato ed economico: questi i tre aggettivi con i quali Francesca Conte, una delle due sceneggiatrici di Klunni the Clown, descriverebbe il suo cortometraggio.
Due ragazze italiane partite da zero, con un budget di soli 5000 euro e un progetto in mente: Francesca Conte e Sara Colonnelli riescono a dirigere e girare un lavoro di 20 minuti in 4k, con droni, 10 attori, 20 comparse, 8 location differenti, ma soprattutto tanta forza di volontà e una smisurata passione per il cinema. La notte è sempre più proficua del giorno nella mente creativa e da questo nasce, nell’animo notturno di Francesca, tutta una serie di idee pronte per essere realizzate; noi de La Testata – Testa l’informazione abbiamo avuto il piacere di parlare con lei dell’ambizioso progetto intrapreso con la sua collega.
Ciao Francesca, dicci tutto quello che vuoi.
“Klunni The Clown nasce circa due anni fa dalla mente mia e della mia collega, Sara Colonnelli. È un thriller psicologico che parla di abusi su minori e di pedofilia. Ci abbiamo messo due anni per realizzarlo, un anno solo per scrivere la sceneggiatura. Abbiamo aperto tre campagne crowdfunding. Il pubblico ha risposto molto bene, infatti, se cercate su Google, troverete tanti articoli che hanno parlato di noi. Abbiamo presentato il nostro lavoro alla m2o, al Village di Roma, all’Isola del Cinema, l’abbiamo presentato veramente da tutte le parti. In questo cortometraggio dalla durata di 17,25 minuti, compaiono anche attori conosciuti, come Roberto Ciufoli, Mauro Racanati, Carlotta Maria Rondana, Maria Tona. Io mi sono laureata a La Sapienza in Lettere e Filosofia con indirizzo Cinema; quando ho iniziato a capire che tutto ciò che scrivevo aveva una sfumatura thriller, giallo, anche molto psicologica mi sono detta: ʹEh… E mo che si fa?ˋ. Questo perché purtroppo per l’Italia è un genere, soprattutto per il mondo del cortometraggio, molto difficile, come film invece c’è qualcosa.”
A che genere ti riferisci, al thriller o al giallo?
“Al thriller psicologico.”
Anche perché il giallo invece è molto inflazionato…
“Sì, troppo forse. Come serie tv si trova tanto, però per i cortometraggi è difficile; hanno una difficilissima distribuzione perché, a meno che non te li vada a vedere tu su internet, non li troverai mai. Quindi, dicevamo, Klunni parla di una bambina che da piccola subisce abusi sessuali da parte del padre che per avvicinarla si travestiva da clown, da qui il titolo Klunni the Clown. Klunni significa clown in islandese.”
Perché in islandese?
“Perché il pupazzo che il padre regala alla figlia ha questa etichetta, è MADE IN ICELAND e c’è scritto Klunni, proprio il nome, e da lì poi parte tutta la storia. Cosa dirvi… È stato difficile. È stato difficilissimo, soprattutto come opera prima gestire tutta quella gente.”
Come hai fatto ad avvicinare attori di calibro più alto?
“Io lavoro da tre anni alla Festa del Cinema di Roma, quindi già questa è una vetrina da cui prendere tantissimi contatti, e poi da lì le conoscenze; lì faccio tanti lavori, si fa la gavetta spesso e volentieri.”
Come mai proprio il tema dell’abuso? È un tema molto diffuso ma, da come ci spieghi tu e da come emerge, questo è un progetto serio, non vuoi mica impietosire.
“Assolutamente.”
Vuoi semplicemente raccontare, quindi perché scegliere proprio un tema, l’abuso, che è un campo “abusato”?
“Io volevo raccontare questa storia. Ho scelto questo genere, ossia il thriller psicologico, perché, per quanto mi riguarda, è l’unico genere che ci mostra la realtà dei fatti senza alcun tipo di filtro. Questo è quello che vado a fare io: non devo impietosire, io non voglio impietosire nessuno. Ho scelto il thriller psicologico perché mi permette di mostrare, senza veli e senza filtri, tutto quello che accade, tutto, e anche perché io sono del parere che fa molta più paura quello che non vediamo piuttosto che quello che si mostra ai nostri occhi. A livello tecnico, poi, ci sono anche le distinzioni, nel senso che nel thriller non abbiamo più un montaggio continuativo, ma discontinuo, quindi l’utilizzo di flashback e flashforward che ci portano a viaggiare nel tempo. Io penso che questo genere, molto più del thriller, ci permetta di scoprire e di viaggiare nei meandri della mente di un personaggio come nessun altro genere può fare. Io nel thriller psicologico, da sceneggiatrice e da regista, non sto raccontando l’esperienza, ma quello che scatta nella mente delle persone. Allora accade che c’è un solo posto che fa paura più di qualsiasi posto al mondo ed è la mente umana, ci sono cioè degli angoli della nostra mente che noi non conosciamo, e forse mai conosceremo in tutta la nostra vita, che ci permettono di raccontare un qualcosa di nuovo allo spettatore.”
Tu hai detto che non ci sono filtri, però, essendo la mente comunque parte di un uomo, la psicologia potrebbe essere intesa come filtro, secondo te? Considerando che si tratta di un thriller psicologico, la psicologia nel thriller è comunque un attributo.
“Io non vado a spiegare psicologicamente quello che succede. Posso decidere se mostrare di più, in questo caso il movimento mentale dei personaggi piuttosto che quello fisico, quindi io, anche avendo un personaggio seduto in una stanza completamente vuota, grazie a questo meccanismo narrativo, posso farti viaggiare ovunque. Poi qui c’è anche la psicologia dello spettatore di cui dovremmo star a parlare per ore, però abbiamo in mano il potere di mostrare, a differenza dei libri. Con i libri, in cui tu devi essere completamente aperto e una persona capace di immaginare, la tua mente proietta quello che immagina; in un film questo non accade, io ti mostro cosa vedere, quindi ho anche una responsabilità nei confronti dello spettatore. Ecco perché poi ci sono tantissime regole nello scrivere le sceneggiature, lo spettatore devi tenerlo attaccato costantemente a quella poltrona fino all’ultimo secondo: è questa la cosa bella del thriller, altrimenti ti racconterei la storia drammatica. Anche quel tipo di storia ti tiene attaccato allo schermo se il film e la sceneggiatura sono fatti bene, però a me piace quel tipo di thriller che devi vedere una seconda volta per capirci qualcosa e, anche se lo rivedi per la centesima volta, continuerai a trovare qualcosa che non hai notato la volta precedente.”
Link al trailer di Klunni The Clown: https://youtu.be/dc-2erJ1Xqs